Yoga Terapia di Roberto Laurenzi

Roberto Laurenzi – EFOA

L’idea di curare malattie, disturbi e distonie con lo Yoga ha origine nell’India arcaica, quando le classi più disagiate risolvevano il problema della pensione, abbandonando i vecchi ormai inabili o malati nelle foreste, ove avrebbero trovato una morte naturale per opera delle bestie feroci o semplicemente per inedia. 

Così iniziò il “fai da te”, che ora chiamiamo Yoga Terapia, e quei miserabili appresero a temprarsi con esercizi fisici, pratiche mentali e atti magici. 

La maggior parte di loro non ottenne risultati, ma alcuni riuscirono non solo a sopravvivere, ma a scoprire tecniche di auto-guarigione e pratiche terapeutiche che li portarono a divenire “guaritori” (keshin) anche di tutti quei poveracci che non potevano permettersi il “Vaidya”, il medico Ayurvedico che serviva solo i ricchi e i nobili. 

Costoro iniziarono ad avere discepoli e iniziarono ad abbandonare la foresta, dando inizio a uno Yoga Terapia che ancora non era definito Yoga… 

Lo Yoga apparve solo in tempi relativamente più recenti (IV°-II° sec. prima dell’era volgare), ma quando apparve virò verso una Terapia dell’Anima orientata a ricongiungersi con l’Assoluto. 

È solo in tempi recenti che nasce quello che ora noi definiamo Yoga Terapia, grazie all’attività di Svami Kuvalayananda che nel 1924 dette vita al “Kaivalyadhama Health and Yoga Research Center” a Lonavla. 

È con lui che “rinasce” lo Yoga Terapia moderno, che inizia a strutturarsi e a crearsi una propria filosofia, dei principi e delle basi operative, e come tutte le cose nuove, si disperde in una miriade di interpretazioni, la maggior parte delle quali a mio avviso risulta imbarazzante. 

In questo bailamme di interpretazioni io vi fornisco la mia.

Lo Yoga

Partiamo dallo Yoga che io interpreto come uno strumento che consente alla Mente di percepire, potenziare, ordinare il Prāna e tutti i processi psichici e psicosomatici con l’elemento più importante che possediamo: il Corpo. 

Il nostro corpo è l’espressione di ciò che noi siamo in questo momento e descrive tutta la nostra storia di ansie, vicissitudini, disfatte, intossicazioni e malattie. 

Quando la Mente va verso il Corpo, il Prāna (vitalità) lo attiva, il che avviene ininterrottamente a livello inconsapevole per opera del Sistema Nervoso Vegetativo che fornisce al Corpo la “giusta” quantità di Prāna per farlo funzionare correttamente, cercando di non sprecarlo. 

Perché meno Prāna si spreca, più Prāna si conserva, più si è vitali e più a lungo si vive. 

Il Prāna Ojas

La simbologia della Lucerna (Pradīpikā) ce lo descrive come l’olio che alimenta la Lampada della Vita, olio che ci viene fornito alla nascita e che si consuma progressivamente, causando abbassamento progressivo di vitalità e funzionalità fisiologica, con conseguente invecchiamento; quando tutto l’olio si è consumato, la Vita si spegne, insieme alla luce della coscienza e della lampada (della mente, Prakāśa)

Questa tipologia di Prāna è definita “Ojas” che potremmo tradurre con “Elisir di Lunga Vita”, nella tradizione cinese “Jīng”

Manas śaktimat Prāna: la Mente guida e conduce il Prāna

Lo Yoga ci permette di amplificare la quantità di Ojas inviata al Corpo, direzionando la Mente (“focalizzazione” o “dhāraṇā) in una specifica zona del Corpo: più tale focalizzazione sarà intensa, più la zona interessata si riempirà di Prāna (Ojas), più si vitalizierà, più sarà efficiente. 

È molto semplice farne esperienza:  

  • solleviamo entrambe le mani socchiuse, portandole lateralmente all’altezza degli occhi, 
  • solleviamo entrambi gli indici, 
  • rivolgiamo lo sguardo e la testa verso il solo indice destro 
  • e osserviamolo intensamente per un minuto. 

Ora andiamo a percepirli entrambi e noteremo che il dito osservato sarà più vivo, più caldo e apparentemente più grande. 

Se l’esercizio avesse proseguito per mezz’ora i risultati sarebbero stati eclatanti. 

Vikṛti, distonia e malattia

Se mi avete seguito, appare chiaro che ogni distonia e ogni malattia (Vikṛti = “ciò che distorce l’azione fisiologica positiva dell’organismo) sono dovute a una disconnessione totale o parziale della focalizzazione del Sistema Nervoso Vegetativo nei riguardi dell’organo o dell’apparato compromessi, che ha comportato in essi una consistente riduzione di vitalità funzionale o Ojas. 

Quando sopravviene una malattia, il metabolismo innesca una reazione acuta di infiammazione, così da aumentare la propria reattività e risolvere il problema, che, nella maggioranza dei casi, viene risolto.

Ma se non riesce a risolverlo, dopo un certo periodo, il sistema centrale “si ritira” dalla zona malata, innanzitutto a livello propriocettivo e di invio del Prāna, in modo da “accomodare” il funzionamento organico, tramite altre risorse (l’organismo ha sempre almeno un sistema sostitutivo)

A questo punto la zona “abbandonata” si trova in uno stato di attività latente e il disturbo diventa cronico e dal punto di vista medico, irreversibile. 

L’azione efficace dello Yoga Terapia

Se si verificano queste condizioni si può intervenire con lo Yoga Terapia, indirizzando volontariamente il Prāna verso la parte non reattiva, con un apposito Dhyāna terapeutico che si realizza tramite: 

  • la “visualizzazione” della zona malata, immaginandola mentalmente, 
  • la “visualizzazione” di un Prāna terapeutico (per esempio, immaginando un flusso di Prāna che scenda dalla Luna – quest’ultima potentissimo archetipo del Prāna)
  • la “veicolazione” (vāhana) di tale Prāna nella parte malata sino a crearvi un “Kanda” (lett. “bulbo”, “ricettacolo”), ovvero una sfera di Prāna che avvolge l’organo distonico di un’aura prānica terapeutica, calda e luminosa, 
  • l’arricchimento di tale Kanda con una quantità di Prāna sempre maggiore sino a quando detto Kanda inizi a pulsare come un “cuore prānico” e con esso inizi a pulsare l’organo stesso, sino al suo ripristino funzionale (il che può avvenire anche dopo più sessioni) 
  • e infine l’imposizione volontaria tramite un “comando interiore” (icchā) al Sistema Nervoso Vegetativo di tornare a prendersi in carico tale organo, ritornato in tal modo alla sua funzionalità ordinaria. 

Ma si tratta solo di Meditazione o anche di Āsana?

Lo Yoga è fondamentalmente Mente che invia Prāna al Corpo, anche quando si effettuano gli Āsana, come dice chiaramente lo Hathayogapradīpikā: 

  • non è Āsana senza Prāṇāyāma e Dhāraṇā (focalizzazione di una zona del corpo) 
  • non è Prāṇāyāma senza Āsana e Dhāraṇā
  • e non è Dhāraṇā senza Āsana e Prāṇāyāma, 

questo indica che tutto ciò va effettuato anche attraverso degli Āsana. 

  • Se si utilizzano degli Āsana meditativi (Siddhāsana, Vajrāsana, ecc.) allora tutta la pratica è prevalentemente mentale, 
  • mentre se si utilizzano degli Āsana che vanno a stimolare la zona da trattare, allora la pratica è più conforme ai dettami dello Haṭhayoga. 

Tuttavia è bene iniziare dalla pratica esclusivamente mentale, in modo da apprendere correttamente il metodo e il processo, per poi passare progressivamente all’utilizzo di posizioni che stimolino le zone interessate, dal momento che si rischierebbe di effettuare solo delle posizioni fisiche, private di tutto il potenziale del Dhyāna che è alla base del funzionamento efficace della pratica. 

Troppo spesso infatti si crede che una posizione sia terapeutica, quando invece resta un semplice esercizio fisico (che non è nemmeno Yoga), con una coscienza dispersa all’esterno (parāṇga cetanā) e priva di qualunque “presenza propriocettiva” (pratyaka cetanā upasthiti) del proprio corpo. 

Ancor più complesso è l’uso del Prāṇāyāma a scopo terapeutico il cui utilizzo va conosciuto passo dopo passo e rappresenta l’elemento conclusivo della tecnica perfetta dello Yoga Terapia. 

Alcune considerazioni

Spesso i praticanti sono ingannati da alcune affermazioni che ritroviamo nei testi classici come lo “Hathayogapradīpikā”, il “Gheraṇḍa Samitha” e lo “Śiva Samitha” ove viene descritta la stretta correlazione tra una specifica posizione e la cura di malattie e distonie. 

È opportuno sapere che i testi classici sono sempre stati “incompleti”, così da permettere al maestro di impartire l’insegnamento ai discepoli meritevoli e di mantenere un controllo su di essi, tanto che essi erano scritti in “linguaggio crepuscolare” (sāṃdhyābhāṣā – v. Mircea Eliade), ove si vede l’ombra delle cose in controluce, così da nasconderla in gran parte. 

Facciamo un piccolo esempio: se vogliamo stimolare la tiroide, assumendo la Posizione della Candela (Sarvāngāsana), avverrà che la nostra tiroide verrà compressa, il che comporterà: 

  • assolutamente nulla, nella maggior parte dei casi 
  • un danno in qualche caso, 
  • un effetto benefico in un numero ridottissimo di casi. 

Se invece effettuiamo un Dhyāna da seduti, immaginando di veicolare “Ojas prāna” verso di essa, di creavi intorno un “ricettacolo di prāna”, caldo, luminoso e pulsante, mantenendovelo sino a percepire il riattivarsi prānico di tale ghiandola, tramite un suo “pulsare immateriale”, a cui seguirà una scarica psicosomatica di un “Nāgādi Vāyu”, cioè una scossa, un sussulto, un fremito, un borborigmo, un rutto, un tremore o altro, indicante che la tensione si è scaricata nel corpo ed è uscita da esso, allora saremo riusciti a riattivarla. 

E se effettueremo tutto ciò proprio in Sarvāngāsana, allora l’intervento sarà ancora più efficace, perché vi parteciperà anche il corpo. 

E se aggiungeremo in contemporanea una pratica ben realizzata di “Nāḍīśodhana Prāṇāyāma” (ovvero non limitata al solo respiro, ma pregna di un Prāna correttamente immaginato e ricco di tutte le sue proprietà sottili), allora il risultato sarà ancor più eclatante. 

Semplici esercizi per iniziare lo Yoga Terapia (Yoga Cikitsā)

Iniziate con l’esercizio con le due dita descritto più in alto, protraendolo sino a mezz’ora, constatandone i risultati. 

Poi passate a un’altra parte delle membra e poi ad altre parti ancora, sempre per mezz’ora. 

Poi rivolgetevi a un vostro organo interno, poi a un altro e un altro ancora. 

Quindi passate ai vari apparati e sistemi. 

E infine all’intero Organismo, dedicandovi sempre più tempo e realizzando risultati che vi appariranno eclatanti. 

Buona pratica.

Pranayama l’arte di far fare un asana al respiro: Il Samavṛtti Prāṇāyāma

Il termine sanscrito pranayama è composto da due parole: prana e ayama.

Prana significa “forza vitale” (da pra- “davanti, verso, promuovere” e na “respirare”; ayama significa “estensione”, “espansione”, “controllo”): quindi pranayama può essere tradotto letteralmente come “espansione della forza vitale”.

Nel pranayama, il corpo è utilizzato come supporto, ma non è la parte più significativa, in quanto è la mente che agisce ed attiva ciò che vogliamo realizzare. La mente per rapportarsi al corpo usa il veicolo del prana, attivandosi per immagini percettive.

Nell’Hatha yoga viene utilizzata un asana cioè una forma fuori dall’ordinario (non solo fisica, ma anche respiratoria), dove il ritmo respiratorio ordinario viene alterato, al fine di ottenere particolari stati fisici/mentali volontari. Quando la mente, usando il prana si convoglia verso il corpo, riesce a somatizzare ed assumere le forme desiderate. La parola somatizzazione non ha una valenza negativa: nella pratica yogica possiede un obiettivo positivo, cioè quello di imparare a gestire e a costruire delle forme volute in modo attivo. Si crea e si fortifica una potenza, quella interiore, basata su tre elementi: Jnana /conoscenza, iccha /volontà, shakti /potenza.

Ciascuno di questi tre elementi, se presi separatamente, non fanno raggiungere all’individuo lo scopo prefisso. L’obiettivo della persona nello yoga così come nella vita, è quello di esprimere appieno le sue potenzialità di vitalità di cui è donato dalla nascita.

Il pranayama si realizza attraverso dei ritmi particolari in quanto anche la vita è un ritmo.

Di solito una respirazione lenta, regolare o ritmata porta ad uno stato di calma e di relax; una respirazione rapida crea un effetto stimolante e rivitalizzante in tutte le parti del corpo, mentre il solo equilibrare il flusso del respiro nelle narici porta ad uno stato di equanimità.

Quando, inoltre, prendiamo coscienza degli aspetti del respiro e del prana siamo più consapevoli e sensibili.

Nelle diverse fasi del giorno, ognuno di noi può sentire la necessità di aumentare il proprio livello di forza vitale o il bisogno di staccare e creare uno stato rilassato, calmando i movimenti della la mente: con le tecniche di pranayama è possibile venire incontro a queste esigenze, scegliendone di volta in volta una specifica e adatta a quel particolare risultato che vogliamo ottenere. Ad esempio di mattina, dopo una nottata di riposo ci può essere la necessità di una carica per iniziare la giornata con maggior vitalità e serenità. Di pomeriggio, dopo aver dedicato svariate ore alle nostre attività di lavoro o studio, c’è il bisogno di portare uno stato d’armonia ed equilibrio in tutto il corpo. La sera si ha bisogno invece di calmare e rilassare mente e corpo.

Un’ottima tecnica per portare uno stato di armonia e vitalità è Samavṛtti Prāṇāyāma: Samavṛtti pranayama crea una grande sensazione di equanimità, in quanto il suo ritmo è quello che è in relazione all’elemento terra (Pritthvi) appartenente al Muladhara Chakra (mula, radice; adhara fondamenta). “Sama” significa “sempre uguale, bilanciato” e “Vṛtti” vortice, senza inizio e senza fine. La pratica calma la mente e rilassa il sistema nervoso, bilanciando la forza vitale.

La tradizione yogica divide il ciclo respiratorio in quattro fasi:

  • Inspirazione (puraka),
  • Espirazione (rechaka),
  • Ritenzione del respiro dopo l’inspirazione o ritenzione a pieno (antara kumbhaka),
  • Ritenzione del respiro dopo l’espirazione o ritenzione a vuoto (bahya kumbhaka)

Nella respirazione ordinaria, queste quattro fasi hanno normalmente durate differenti tra di loro.

Il ritmo di questa respirazione è 1.1.1.: ecco perché è usualmente chiamata la “tecnica del respiro quadrato”. Nella nostra mente possiamo immaginare effettivamente un quadrato. L’inspirazione sale lungo il lato sinistro del quadrato, durante la ritenzione interna la consapevolezza si muove lungo il lato superiore del quadrato; l’espirazione discende lungo il lato destro; durante la ritenzione esterna portiamo la consapevolezza lungo il lato inferiore del quadrato. Questa è una respirazione completa. Quindi sia le fasi di inspirazione che espirazione, sospensione a pieno e a vuoto, hanno la stessa durata. Insieme alle sospensioni è utile mettere in atto il “TrayaBandha”:

  • contrazione del perineo a fine espirazione e a fine inspirazione: Mula Bandha
  • chiusura della gola a fine espirazione e a fine inspirazione: Jalandhara Bandha
  • pressione verso l’interno dell’addome durante la sospensione sia a polmoni vuoti che a polmoni pieni: Uddiyana Bandha

Prima di eseguire questa tecnica (come qualsiasi altra) è utile effettuare una pratica corporea propedeutica per ottenere i massimi benefici, in quanto il corpo e la mente preparati sono più idonei a ricevere gli effetti del pranayama. Una particolare attenzione va alle narici, che devono essere purificate e, durante la pratica, devono essere controllate coscientemente permettendo all’aria di entrare nel corpo più facilmente.

E’ poi importante, concludere l’esercizio, riducendo progressivamente il ritmo adottato per non creare una frattura respiratoria. E’ lo stesso principio per cui usciamo da una forma corporea in modo graduale per non sentire disagio. Mentre il corpo ci avvisa che qualcosa non va con sensazione di dolore, il respiro non ha modo di farlo, ma sicuramente pagheremo le conseguenze di una uscita repentina “dall’asana respiratorio” con disagi a livello psichico.

Al termine della pratica si respira liberamente, ma sempre con calma e consapevolezza. Per qualche momento, è importante portare a livello percettivo i risultati ottenuti e soffermarsi a godere degli effetti che questa tecnica ha sviluppato in termini di armonia ed equilibrio sia a livello fisico, che a livello mentale. Respirare è un atto così naturale, così spontaneo che raramente le persone si rendono conto di quanto sia prezioso.

Prendere coscienza della respirazione, respirare in modo corretto e successivamente poter controllare tale atto, ci dona delle risorse vitali inimmaginabili che possiamo comprendere solo con l’esperienza diretta.

IL RESPIRO, UNA PIACEVOLE SCOPERTA

di Angelica Tessitore

Da quando ho iniziato a frequentare la scuola EFOA, la cosa che più mi ha colpito sin dalla prima volta è stato realizzare quanto fosse fondamentale l’atto del respiro nello Yoga. Quanto ho appreso! e quanti esercizi eseguiti! Sono venuta a conoscenza di un nuovo mondo “del Respiro”.

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Il controllo della respirazione addominale

di Laura Roveri

Pranayama, alla scoperta della respirazione addominale

In questa seconda lezione di Pranayama abbiamo esplorato cosa significhi concretamente una respirazione addominale controllata.

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LO YOGA CHE RENDE LIBERI

di Paola Cosolo Marangon

Lo yogi diviene capace di regolare il prāna solamente nel momento in cui tutte le nādī, che normalmente sono piene di impurità, vengono purificate”.

(Svātmārāma, Hathapradīpikā, (Di Marzo Domenico, a cura di, Libreria editrice Psiche 2011, Seconda lezione, n. 5, )

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MULA BANDHA: PRESENZA DEL RESPIRO

di Annarita Manni

Fisiologia intrisa di metafisica: tutto è uno

Il Pranayama può essere praticato a diversi livelli. Questa pratica indiana antica e potente mi ricorda infatti le mastrioske russe: una bambola, che contiene un’altra bambola più piccola, che ne contiene un’altra ancora più piccola e così via, sino ad arrivare al cuore della matrioska, la più piccola (e la più preziosa). Ecco allora il primo strato del Pranayama: l’aspetto fisiologico. Il Pranayama è fortemente legato alla fisiologia del corpo: c’è un corpo fisico dove risiedono la vita e la mente.

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Forme di respiro e Pranayama

di Laura Sacchi

Respiro e Prana

Il respiro è veicolo di prana ma non è necessariamente prana.

Non basta portare l’attenzione al respiro e cambiargli i ritmi con degli esercizi per poter dire di aver fatto pranayama.

Per poter dire di essersi anche solo avvicinati al eseguire questa pratica occorre compiere un lavoro più raffinato ed occorre che, sia il respiro che la mente, abbiano determinate qualità.

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Quando il cuore non è solo al centro del petto

di Paola Cosolo Marangon

Il corpo è un giardino, la volontà è il giardiniere

William Shakespeare, Otello

La mia riflessione sulla pratica collegata alla quinta lezione di Pranayama parte proprio dalle parole di Shakespeare. Ho visto questa tragedia un sacco di volte ma, come spesso accade, non avevo mai fatto caso alla frase sul corpo e il giardiniere. E’ stato come ascoltarla per la prima volta e, ne sono persuasa, attraverso la pratica quotidiana dello yoga si affinano i sensi e la concentrazione aumenta, tanto da scoprire costantemente cose nuove anche nel già noto.

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Purificare e stabilizzare mente e corpo: la duplice natura del respiro

di Giorgia De Giorgi

Il respiro

Il respiro è un’attività fisiologica che fa capo sia al sistema nervoso autonomo o neurovegetativo, sia a quello volontario. Grazie alla sua duplice natura, esso svolge due importanti funzioni.

  • Quella affidata al primo consiste nel percepire i blocchi, gli squilibri e le irregolarità presenti all’interno del sistema mente-corpo, che influiscono sulla qualità e la quantità dell’aria emessa.
  • Il secondo, invece, si occupa di ampliarlo, farlo tornare regolare e stabilizzarne il ritmo, grazie alle stimolazioni funzionali attivate dal pensiero, quindi di riportare in equilibrio neurovegetativo l’intero organismo.

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PRĀNĀYĀMA E HATHAYOGA

di Antonella Filippone

Pranayama e Hathayoga

“Quando il respiro è instabile, la mente è instabile; quando il respiro è stabile, la mente è stabile e lo yogin raggiunge la stasi” (Hathayogapradīpikā).

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