Leggeri nella vita, con il Tao Yoga!

di Francesca Bonsignori

Quante cose quotidianamente ci pesano, ci condizionano senza che riusciamo a scrollarcele di dosso!

Abbiamo mai analizzato la loro radice e la loro causa?

Facendolo, ci renderemo senz’altro conto che si tratta sempre di pregiudizi, schemi meccanici di comportamento e di reazione nei confronti di qualunque evento della nostra vita quotidiana.

Questi schemi si sono creati con il tempo: inizialmente erano abitudini atte a semplificare la vita, tuttavia man mano sono divenute costrizioni minacciose per la nostra libertà di espressione. Ne avvertiamo particolarmente il peso quando dobbiamo scegliere e ci sentiamo condizionati, talvolta effettuando decisioni improprie e addirittura non condivise dal nostro Io Profondo. Così la nostra vita diventa pesante.

Analizzando questo processo, osserviamo che il piano fisico e il piano mentale procedono di pari passo. In pratica, tanto più siamo pesanti nella psiche, tanto più il nostro corpo si irrigidisce, e viceversa, tanto più siamo rigidi nel corpo, tanto più diveniamo condizionati a livello mentale.

La rigidità di solito si connette con l’invecchiamento, comunemente si pensa che sia normale che le articolazioni perdano la loro mobilità e i muscoli degenerino nella loro forza ed elasticità. A questo proposito riflettiamo sul fatto che la mente comanda la contrazione o il rilasciamento dei muscoli; è pertanto la nostra mente a non funzionare più correttamente, proprio in quanto appesantita. L’appesantimento della mente non è dovuto alla vecchiaia, ma semplicemente l’incedere del nostro vissuto comporta l’accumulo di una certa dose di problematiche non risolte che ci portiamo addosso in tutto il loro peso.

A questo punto vediamo cosa poter fare con la nostra pratica per invertire questo meccanismo attraverso le pratiche di Tao Yoga che ben si prestano allo scopo di realizzare il nostro obiettivo vitale.

Il Tao Yoga è di origine cinese ed è molto vicino all’Hatha Yoga indiano;

essi fondano il proprio principio in una pratica che debba coinvolgere contemporaneamente il corpo, il prana e la mente.

Con l’obiettivo di farci pervadere alla leggerezza, le pratiche scelte in questa sequenza sono profondamente focalizzate a realizzare questa qualità a tutti i livelli.

Sul piano fisico, la leggerezza dei movimenti farà sì che ogni parte del corpo inizi a partecipare del movimento realizzato, anche le quali appaiono meno coinvolte. Un semplice movimento respiratorio con le braccia coinvolge le braccia stesse, le spalle e il respiro nel basso del tronco. Nello sviluppo del movimento si percepisce la partecipazione dell’insieme costituito dalla colonna, la testa e via via pure da bacino, gambe, caviglie e piedi. Approfondendo, il coinvolgimento entra nei visceri e negli organi che vengono massaggiati dal nostro respiro. Ogni parte del corpo si congiunge a questo movimento di insieme.

Questa descrizione sottolinea l’importanza di praticare un tempo sufficiente, solitamente ben più lungo degli ordinari esercizi di ginnastica, per lasciare che i movimenti si espandano e portino leggerezza a tutti i nostri livelli, dal più fisico al più sottile.

La leggerezza racchiude l’elevazione dalla pesantezza della condizione ordinaria verso una condizione più vicina al cielo. Per una buona riuscita prima di elevarci permettiamo ai nostri piedi di essere ben piantati a terra.

Quello che ci appesantisce non è infatti il radicamento a terra, questa è la condizione ottima da ricercare nella nostra pratica; sono i condizionamenti parassiti che ci fanno “muovere male”.

Un aspetto di fondamentale importanza per realizzare l’abbandono alla leggerezza è il nostro asse centrale. Il sostegno che quest’asse ci procura risulta una componente chiave nel rilasciamento profondo delle tensioni e l’alleggerimento dai fardelli del quotidiano. Molti dei pesi che abbiamo addosso e non riusciamo infatti ad eliminare sono derivati da mancanza di sicurezza.

Rinforzare l’asse centrale con il Tao Yoga rende dunque sicuri e leggeri.

Segui un estratto della nostra pratica!

  • Respirazione e Concentrazione sul nostro asse

In questo movimento aggiungiamo ai temi della leggerezza e della forza la percezione del nostro asse centrale di sostegno.

Nel movimento renderemo concreta la forza dell’asse, ricercando la sensazione di essere trasportati nel movimento dalla forza di questo asse. In particolare, nella fase di raddrizzamento della colonna non saranno i nostri muscoli a riportarci verticali, ma una forza più grande di noi, rappresentata proprio dall’asse.

Ravviciniamo i piedi, ben attenti a mantenerne il radicamento e la forza, e sulla base del ritmo del nostro respiro, a questo punto ben profondo ed equilibrato, pratichiamo questo movimento:

  • espirando ci portiamo nella posizione accovacciata, mentre i nostri palmi delle mani seguono un percorso di discesa circolare, come a disegnare due falci di luna attorno a noi;
  • mantenendo una breve fase di sospensione a vuoto ci abbandoniamo completamente, rilasciando l’insieme del corpo; in particolare percepiamo la colonna e la testa “appese”;
  • inspirando portiamo le mani a contatto, con la sensazione che seguano un asse che collega Terra e Cielo, che ci trascina leggeri  verso l’alto;
  • mantenendo una breve fase di sospensione a pieno intensifichiamo la sensazione di leggerezza, prima di riprendere un ciclo di movimento con l’espirazione successiva.

Proseguiamo alcune volte il movimento, completamente assorbiti nella percezione delle forme create dalla gestualità del movimento, che ricorda anche il magnetismo terreste: due forme circolari che si incontrano in basso per generare l’asse verticale.

Al termine del movimento, rimaniamo fermi nella posizione in piedi, orientando tutta la nostra attenzione sulla percezione dell’asse.

La posizione dell’asse verticale

A questo punto della nostra pratica, passiamo ad una posizione statica che corona ed esprime egregiamente le forze che abbiamo stimolato finora.

Assumiamo la posizione a partire da una solida base di appoggio sui piedi, con un secondo fondamentale sostegno costituito dal bacino. Sollevando le braccia alla verticale immaginiamo le dita arrivare molto lontano, con l’insieme del corpo che cresce all’infinito.

Manteniamo la posizione per alcune respirazioni, prima di passare alla variante successiva: espirando saliamo sull’avampiede. Per mantenere il totale controllo dell’equilibrio, immaginiamo di portare in avanti e in alto il pube, rimanendo ben centrati nel baricentro.

Questa posizione è presente anche nell’Hatha Yoga, dove prende il nome di Uttita Tadasana (la posizione del Bastone in Stiramento). Solitamente viene considerata intensa, e non facile da mantenere senza sforzo.

In questo contesto e con queste indicazioni ci renderemo gradevolmente conto di quanta spontaneità, facilità e leggerezza possiamo realizzare. Il mantenimento prolungato della posizione, invece di stancarci ci farà sentire sempre più a nostro agio.

Per concludere la pratica nel migliore dei modi, rimaniamo nella semplice posizione in piedi, anch’essa comoda e agile, dove godremo per qualche minuto la condizione ottimale in cui la pratica ci ha condotto, certi che leggerezza, stabilità e forza accompagneranno sempre di più il nostro vissuto quotidiano.

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Non mancare!

Yoga Terapia di Roberto Laurenzi

Roberto Laurenzi – EFOA

L’idea di curare malattie, disturbi e distonie con lo Yoga ha origine nell’India arcaica, quando le classi più disagiate risolvevano il problema della pensione, abbandonando i vecchi ormai inabili o malati nelle foreste, ove avrebbero trovato una morte naturale per opera delle bestie feroci o semplicemente per inedia. 

Così iniziò il “fai da te”, che ora chiamiamo Yoga Terapia, e quei miserabili appresero a temprarsi con esercizi fisici, pratiche mentali e atti magici. 

La maggior parte di loro non ottenne risultati, ma alcuni riuscirono non solo a sopravvivere, ma a scoprire tecniche di auto-guarigione e pratiche terapeutiche che li portarono a divenire “guaritori” (keshin) anche di tutti quei poveracci che non potevano permettersi il “Vaidya”, il medico Ayurvedico che serviva solo i ricchi e i nobili. 

Costoro iniziarono ad avere discepoli e iniziarono ad abbandonare la foresta, dando inizio a uno Yoga Terapia che ancora non era definito Yoga… 

Lo Yoga apparve solo in tempi relativamente più recenti (IV°-II° sec. prima dell’era volgare), ma quando apparve virò verso una Terapia dell’Anima orientata a ricongiungersi con l’Assoluto. 

È solo in tempi recenti che nasce quello che ora noi definiamo Yoga Terapia, grazie all’attività di Svami Kuvalayananda che nel 1924 dette vita al “Kaivalyadhama Health and Yoga Research Center” a Lonavla. 

È con lui che “rinasce” lo Yoga Terapia moderno, che inizia a strutturarsi e a crearsi una propria filosofia, dei principi e delle basi operative, e come tutte le cose nuove, si disperde in una miriade di interpretazioni, la maggior parte delle quali a mio avviso risulta imbarazzante. 

In questo bailamme di interpretazioni io vi fornisco la mia.

Lo Yoga

Partiamo dallo Yoga che io interpreto come uno strumento che consente alla Mente di percepire, potenziare, ordinare il Prāna e tutti i processi psichici e psicosomatici con l’elemento più importante che possediamo: il Corpo. 

Il nostro corpo è l’espressione di ciò che noi siamo in questo momento e descrive tutta la nostra storia di ansie, vicissitudini, disfatte, intossicazioni e malattie. 

Quando la Mente va verso il Corpo, il Prāna (vitalità) lo attiva, il che avviene ininterrottamente a livello inconsapevole per opera del Sistema Nervoso Vegetativo che fornisce al Corpo la “giusta” quantità di Prāna per farlo funzionare correttamente, cercando di non sprecarlo. 

Perché meno Prāna si spreca, più Prāna si conserva, più si è vitali e più a lungo si vive. 

Il Prāna Ojas

La simbologia della Lucerna (Pradīpikā) ce lo descrive come l’olio che alimenta la Lampada della Vita, olio che ci viene fornito alla nascita e che si consuma progressivamente, causando abbassamento progressivo di vitalità e funzionalità fisiologica, con conseguente invecchiamento; quando tutto l’olio si è consumato, la Vita si spegne, insieme alla luce della coscienza e della lampada (della mente, Prakāśa)

Questa tipologia di Prāna è definita “Ojas” che potremmo tradurre con “Elisir di Lunga Vita”, nella tradizione cinese “Jīng”

Manas śaktimat Prāna: la Mente guida e conduce il Prāna

Lo Yoga ci permette di amplificare la quantità di Ojas inviata al Corpo, direzionando la Mente (“focalizzazione” o “dhāraṇā) in una specifica zona del Corpo: più tale focalizzazione sarà intensa, più la zona interessata si riempirà di Prāna (Ojas), più si vitalizierà, più sarà efficiente. 

È molto semplice farne esperienza:  

  • solleviamo entrambe le mani socchiuse, portandole lateralmente all’altezza degli occhi, 
  • solleviamo entrambi gli indici, 
  • rivolgiamo lo sguardo e la testa verso il solo indice destro 
  • e osserviamolo intensamente per un minuto. 

Ora andiamo a percepirli entrambi e noteremo che il dito osservato sarà più vivo, più caldo e apparentemente più grande. 

Se l’esercizio avesse proseguito per mezz’ora i risultati sarebbero stati eclatanti. 

Vikṛti, distonia e malattia

Se mi avete seguito, appare chiaro che ogni distonia e ogni malattia (Vikṛti = “ciò che distorce l’azione fisiologica positiva dell’organismo) sono dovute a una disconnessione totale o parziale della focalizzazione del Sistema Nervoso Vegetativo nei riguardi dell’organo o dell’apparato compromessi, che ha comportato in essi una consistente riduzione di vitalità funzionale o Ojas. 

Quando sopravviene una malattia, il metabolismo innesca una reazione acuta di infiammazione, così da aumentare la propria reattività e risolvere il problema, che, nella maggioranza dei casi, viene risolto.

Ma se non riesce a risolverlo, dopo un certo periodo, il sistema centrale “si ritira” dalla zona malata, innanzitutto a livello propriocettivo e di invio del Prāna, in modo da “accomodare” il funzionamento organico, tramite altre risorse (l’organismo ha sempre almeno un sistema sostitutivo)

A questo punto la zona “abbandonata” si trova in uno stato di attività latente e il disturbo diventa cronico e dal punto di vista medico, irreversibile. 

L’azione efficace dello Yoga Terapia

Se si verificano queste condizioni si può intervenire con lo Yoga Terapia, indirizzando volontariamente il Prāna verso la parte non reattiva, con un apposito Dhyāna terapeutico che si realizza tramite: 

  • la “visualizzazione” della zona malata, immaginandola mentalmente, 
  • la “visualizzazione” di un Prāna terapeutico (per esempio, immaginando un flusso di Prāna che scenda dalla Luna – quest’ultima potentissimo archetipo del Prāna)
  • la “veicolazione” (vāhana) di tale Prāna nella parte malata sino a crearvi un “Kanda” (lett. “bulbo”, “ricettacolo”), ovvero una sfera di Prāna che avvolge l’organo distonico di un’aura prānica terapeutica, calda e luminosa, 
  • l’arricchimento di tale Kanda con una quantità di Prāna sempre maggiore sino a quando detto Kanda inizi a pulsare come un “cuore prānico” e con esso inizi a pulsare l’organo stesso, sino al suo ripristino funzionale (il che può avvenire anche dopo più sessioni) 
  • e infine l’imposizione volontaria tramite un “comando interiore” (icchā) al Sistema Nervoso Vegetativo di tornare a prendersi in carico tale organo, ritornato in tal modo alla sua funzionalità ordinaria. 

Ma si tratta solo di Meditazione o anche di Āsana?

Lo Yoga è fondamentalmente Mente che invia Prāna al Corpo, anche quando si effettuano gli Āsana, come dice chiaramente lo Hathayogapradīpikā: 

  • non è Āsana senza Prāṇāyāma e Dhāraṇā (focalizzazione di una zona del corpo) 
  • non è Prāṇāyāma senza Āsana e Dhāraṇā
  • e non è Dhāraṇā senza Āsana e Prāṇāyāma, 

questo indica che tutto ciò va effettuato anche attraverso degli Āsana. 

  • Se si utilizzano degli Āsana meditativi (Siddhāsana, Vajrāsana, ecc.) allora tutta la pratica è prevalentemente mentale, 
  • mentre se si utilizzano degli Āsana che vanno a stimolare la zona da trattare, allora la pratica è più conforme ai dettami dello Haṭhayoga. 

Tuttavia è bene iniziare dalla pratica esclusivamente mentale, in modo da apprendere correttamente il metodo e il processo, per poi passare progressivamente all’utilizzo di posizioni che stimolino le zone interessate, dal momento che si rischierebbe di effettuare solo delle posizioni fisiche, private di tutto il potenziale del Dhyāna che è alla base del funzionamento efficace della pratica. 

Troppo spesso infatti si crede che una posizione sia terapeutica, quando invece resta un semplice esercizio fisico (che non è nemmeno Yoga), con una coscienza dispersa all’esterno (parāṇga cetanā) e priva di qualunque “presenza propriocettiva” (pratyaka cetanā upasthiti) del proprio corpo. 

Ancor più complesso è l’uso del Prāṇāyāma a scopo terapeutico il cui utilizzo va conosciuto passo dopo passo e rappresenta l’elemento conclusivo della tecnica perfetta dello Yoga Terapia. 

Alcune considerazioni

Spesso i praticanti sono ingannati da alcune affermazioni che ritroviamo nei testi classici come lo “Hathayogapradīpikā”, il “Gheraṇḍa Samitha” e lo “Śiva Samitha” ove viene descritta la stretta correlazione tra una specifica posizione e la cura di malattie e distonie. 

È opportuno sapere che i testi classici sono sempre stati “incompleti”, così da permettere al maestro di impartire l’insegnamento ai discepoli meritevoli e di mantenere un controllo su di essi, tanto che essi erano scritti in “linguaggio crepuscolare” (sāṃdhyābhāṣā – v. Mircea Eliade), ove si vede l’ombra delle cose in controluce, così da nasconderla in gran parte. 

Facciamo un piccolo esempio: se vogliamo stimolare la tiroide, assumendo la Posizione della Candela (Sarvāngāsana), avverrà che la nostra tiroide verrà compressa, il che comporterà: 

  • assolutamente nulla, nella maggior parte dei casi 
  • un danno in qualche caso, 
  • un effetto benefico in un numero ridottissimo di casi. 

Se invece effettuiamo un Dhyāna da seduti, immaginando di veicolare “Ojas prāna” verso di essa, di creavi intorno un “ricettacolo di prāna”, caldo, luminoso e pulsante, mantenendovelo sino a percepire il riattivarsi prānico di tale ghiandola, tramite un suo “pulsare immateriale”, a cui seguirà una scarica psicosomatica di un “Nāgādi Vāyu”, cioè una scossa, un sussulto, un fremito, un borborigmo, un rutto, un tremore o altro, indicante che la tensione si è scaricata nel corpo ed è uscita da esso, allora saremo riusciti a riattivarla. 

E se effettueremo tutto ciò proprio in Sarvāngāsana, allora l’intervento sarà ancora più efficace, perché vi parteciperà anche il corpo. 

E se aggiungeremo in contemporanea una pratica ben realizzata di “Nāḍīśodhana Prāṇāyāma” (ovvero non limitata al solo respiro, ma pregna di un Prāna correttamente immaginato e ricco di tutte le sue proprietà sottili), allora il risultato sarà ancor più eclatante. 

Semplici esercizi per iniziare lo Yoga Terapia (Yoga Cikitsā)

Iniziate con l’esercizio con le due dita descritto più in alto, protraendolo sino a mezz’ora, constatandone i risultati. 

Poi passate a un’altra parte delle membra e poi ad altre parti ancora, sempre per mezz’ora. 

Poi rivolgetevi a un vostro organo interno, poi a un altro e un altro ancora. 

Quindi passate ai vari apparati e sistemi. 

E infine all’intero Organismo, dedicandovi sempre più tempo e realizzando risultati che vi appariranno eclatanti. 

Buona pratica.

Obiettivi e buoni propositi

(di Francesca Bonsignori)

Nel cammino verso un obiettivo si possono infatti presentare difficoltà e ostacoli di varia natura. Alcuni sono oggettivi mentre altri dovuti a fattori esterni, che non dipendono dal soggetto; altri, più insidiosi, prodotti dalla psiche, in particolare dalla componente emotiva (prāna), ancor più difficile da controllare. 

A questo punto entra in gioco l’intensità della determinazione di quanto l’obiettivo è stato posto come centrale e del saper gestire la nostra psiche, un aspetto centrale in tutte le forme di yoga.

L’importanza degli obiettivi

La scelta degli obiettivi rappresenta un elemento fondamentale per una buona qualità della vita poiché influisce quotidianamente sul nostro stato mentale, sull’umore e la vitalità oltreché sulla salute. 

Innanzitutto è bene avere degli obiettivi, perché maggiore è l’entusiasmo che ci spinge verso la loro realizzazione più elevata risulta l’attivazione vitale e psichica che coinvolge tutto il nostro essere il quale in assenza di obiettivi va a deprimersi. 

Il fenomeno depressivo risulta purtroppo evidente anche per le persone più giovani ed è correlato a uno squilibrio del sano svolgimento degli obiettivi quotidiani acuitosi durante il periodo pandemico. 

Ma l’obiettivo non è importante solo dal punto di vista psicologico, dal momento che coinvolge pienamente anche il piano fisiologico. 

Tutti noi siamo progettati per svegliarci la mattina e iniziare a muoverci, ad assumere atteggiamenti e gesti, a pensare a qualcosa da realizzare e ciò vale anche per attività semplici. In assenza di un qualcosa verso cui muoverci vivremmo per la gran parte del tempo in condizioni di inerzia e sedentarietà. 

In questo processo tutto l’organismo resta coinvolto e tanto più sono orientato e coinvolto nell’obiettivo più intenso è questo meccanismo virtuoso: soltanto in questo modo il sistema metabolico si può esprimere al meglio. 

Pertanto, prima ancora di entrare nello specifico della loro bontà, evviva gli obiettivi che attivano entusiasmo, giovinezza, espressione vitale. 

La qualità dell’obiettivo 

Dopo questa premessa, è utile pensare che l’obiettivo debba essere ben definito in ogni suo aspetto, compreso quello temporale; un buon obiettivo che si realizzi attraverso una serie di buoni propositi. 

È dunque opportuno domandarsi cosa si intenda per buon obiettivo in rapporto alla persona. La prima analisi andrà infatti costruita sulla specifica costituzione caratteriale e la qualità fisica e psichica oltreché l’età ed il vissuto; è importante comprendere tali fattori come unici e diversi per ciascuno. In più, la persona si trova a vivere un determinato contesto ambientale, sociale e familiare. La bontà dell’obiettivo deve tener conto della reale condizione della persona, onde evitare sogni irrealizzabili o percorsi di eccessiva salita. 

Su questo punto ci viene incontro l’antica scienza dell’Ayurveda, la quale sottolinea come la salute sia connessa alla realizzazione della propria natura e considera buono ogni obiettivo che rispetti questo elemento fondamentale. Tutto quanto concerne regole sociali, etiche e morali segue questo fondamento; seppur con qualche “correzione di tiro” opportuna alla società, il punto di partenza è individuale. 

L’adeguatezza dell’obiettivo 

Se l’obiettivo deve essere adeguato non può prescindere da un buon tempismo. 

La definizione di un obiettivo è svolta prima di metterlo a fuoco nel mirino e dedicarvi tutte le nostre attenzioni e forze. È noto quanto sia penalizzante fallire un obiettivo a cui si è dedicato tempo, forze, risorse, aspettative. 

Quest’ultime, le aspettative, sono un freno verso l’obiettivo. Esse salgono in intensità tanto più l’obiettivo non è corretto mentre si abbassano tanto più l’obiettivo è alla nostra portata. 

L’aspettativa è infatti un desiderio che rende i propositi poco concreti e sottrae forze alla parte operativa; essa distoglie l’attenzione della mente dall’operato e la conseguenza è la perdita della propria sana capacità di agire con vitalità. 

Il desiderio è tipico dell’età adulta e ci fa perdere la spontaneità che hanno i bambini. Questi ultimi quando si dedicano ad un’attività coinvolgono tutto il loro essere, con l’attenzione indirizzata solo quello a cui si dedicano nel preciso momento e hanno tutto il tempo a disposizione: in altre parole non hanno aspettative. 

La passione che mettiamo in quello che facciamo è la nostra alleata. L’atteggiamento ottimale è mettere passione senza apporvi desiderio. 

Lo yoga e i nostri obiettivi 

La chiarezza nel definire i nostri obiettivi, le strategie di realizzazione, i propositi adeguati sono elementi che evidentemente diventano centrali per uno yogin. 

Conquistare lo yoga vuol dire proprio diventare consapevoli della nostra mente; liberare essa da tutto quanto le impedisce di analizzare con chiarezza le situazioni significa attuare le scelte migliori al momento presente, ottenendo la costanza nel perseguimento degli obiettivi. 

Nel cammino verso un obiettivo si possono infatti presentare difficoltà e ostacoli di varia natura. Alcuni sono oggettivi mentre altri dovuti a fattori esterni, che non dipendono dal soggetto; altri, più insidiosi, prodotti dalla psiche, in particolare dalla componente emotiva (prāna), ancor più difficile da controllare. 

A questo punto entra in gioco l’intensità della determinazione di quanto l’obiettivo è stato posto come centrale e del saper gestire la nostra psiche, un aspetto centrale in tutte le forme di yoga. 

Yoga è interpretabile anche come realizzazione di un obiettivo, non potendo definire yoga una serie di esercizi fini a sé stessi e soltanto ordinariamente salutari. 

Tenere conto che per la legge delle probabilità una pratica yoga abbia degli effetti non assicura che tali effetti sono buoni per il soggetto, semplicemente in quanto non si tratta di attività sterili e determinate a priori. L’esercizio si rivela pratica di yoga quando è messo in relazione con il soggetto e mai quando rimane un’imitazione di quanto appreso da altri per imitazione esteriore. 

La costanza 

Un altro elemento legato all’obiettivo è la costanza e il buon proposito ne è dotato. Perseverare è la condizione essenziale per avere successo in tutto ciò che si fa, in qualunque campo e contesto che sia esso lavorativo, creativo, artistico, sportivo; 

le persone che hanno raggiunto traguardi importanti hanno perseguito con costanza indefessa l’obiettivo, orientando ogni particolare della quotidianità verso di esso. 

L’obiettivo prefissato è buono quando abbiamo la sicurezza di potervi dedicare una parte significativa della nostra vita. 

Dunque gli obiettivi da noi scelti sono buoni quando diventano fecondi ad ulteriori nuovi obiettivi che evolvono la nostra vita con ricchezza di passioni. Al contrario l’obiettivo sbagliato porta a sconfitte che bloccano tale slancio verso l’altro. 

Da tutto ciò appare evidente quanto sia importante la dedizione nel definire gli obiettivi giusti accompagnati da buoni propositi e riuscire a vivere con pienezza e soddisfazione la vita.

Yoga e Amore

«Yoga è conoscenza profonda di se stessi, una conoscenza finalizzata a gestire al meglio la nostra vita, per poterla godere pienamente in tutti i suoi aspetti.

[…]Per dare concretezza ai nostri ragionamenti mi riferisco all’hatha yoga, fondato sulla filosofia tantrica, dove corpo, pranâ e mente sono coinvolti sinergicamente in ogni pratica.»

(di Francesca Bonsignori)

Yoga è conoscenza profonda di se stessi, una conoscenza finalizzata a gestire al meglio la nostra vita, per poterla godere pienamente in tutti i suoi aspetti. In particolare, nella visione tantrica è fondamentale quanto avviene nelle azioni concrete della quotidianità, dai pensieri, all’umore, alla salute. Armonizzare il rapporto con noi stessi e con il mondo nel vissuto di ogni giorno e ogni momento è quanto di meglio possiamo ottenere con lo yoga. Il livello del nostro benessere e felicità, quanto ci avviciniamo ad una condizione di armonia psicofisica, misura inequivocabilmente quanto conosciamo e sappiamo mettere in pratica lo yoga, ben oltre che nel fare soltanto degli esercizi su un tappetino.

Lascio da parte le forme ascetiche di yoga, fondate sulla mortificazione del corpo e della vitalità in favore di una vaga finalità spirituale che, ammesso che conducano realmente allo spirito, sono ben lontane dalla vita di gran parte di noi. Per dare concretezza ai nostri ragionamenti mi riferisco all’hatha yoga, fondato sulla filosofia tantrica, dove corpo, pranâ e mente sono coinvolti sinergicamente in ogni pratica. 

Analizzando in profondità le cose, emerge come tutte le forme di yoga considerino centrale la capacità di interagire con il piano emotivo in tutte le sue manifestazioni. Le forme ascetiche, mirando ad un simile scopo, impiegano il silenziamento o addirittura la soppressione delle componenti emotive.

Nell’hatha yoga si parla di controllo: sono infatti le disarmonie emotive che ci inducono a comportamenti nocivi per la salute corporea e per l’equilibrio psichico.

Quando mangiamo male, scegliamo stili di vita impropri, ci soffermiamo su pensieri distonici, effettuiamo delle scelte come banalmente guardare programmi che ci destabilizzano, è sempre preceduta una compulsione avvenuta sul piano emotivo.

Talvolta mentre stiamo agendo una parte di noi sa di sbagliare ma non può fare a meno di persistere nell’azione come se fosse guidata da altro che da noi stessi.

Dal momento che l’amore è l’emozione più forte che caratterizza la vita di tutti, possiamo affermare che yoga è gestire la regina delle emozioni: l’amore. Si parla dunque di hatha yoga come lo yoga degli eroi, e penso non vi siano dubbi sul fatto che cimentarsi con una potenza così grande come quella dell’amore sia proprio una faccenda eroica e che dunque lo yoga ci renda degli eroi.

D’altra parte lo yoga è un cammino arduo, a partire dalla comprensione di noi stessi, che richiede di abbandonare schemi, valori, e modalità usuali di considerare le cose.

La forza dello yoga non ha nulla a che vedere con la forza muscolare proveniente dall’allenamento da palestra, parliamo di ben altro.

Questi principi comprendono ogni valenza che vogliamo dare alla parola amore, da un coinvolgimento passionale verso una persona, un’attività, un progetto, verso lo yoga stesso che appassiona molti di noi. Ma anche amore per noi stessi.

Per procedere nel processo di comprensione è necessario prima di tutto chiarire che controllare un’emozione non vuol dire escludere un piacere dalla nostra esistenza. Teniamo conto del detto ogni piacere dura poco, e aggiungerei che il più delle volte l’esperienza di un coinvolgimento è dalle stelle alle stalle, e le stalle sono tanto più opprimenti quanto più ci in alto siamo andati, e siamo stati vicini alle stelle. Tanto più elevato è il livello di coinvolgimento passivo, tanto più sgradevole sarà il risveglio.

Nella vita ordinaria non sospetteremmo che tutto ciò possa essere anche un processo attivo. Sapersi appassionare, innamorare, godere di quanto la vita ci offre per uno yogin è una pratica attiva, che non parte dal farsi attrarre magneticamente da un qualcosa che ci fa innamorare bensì da un’azione di innamoramento.

Naturalmente la prima situazione è quella usuale, direi la sola concepibile per molti. Tant’è che in inglese innamorarsi si traduce come to fall in love, letteralmente cadere innamorati. La condizione attiva è quella che non soltanto non ci fa pagare il conto pesante che il “cadere innamorati” ci presenta, ma è anche quella opportunità che ci può portare a godere pienamente l’esperienza immensa e totalmente appagante dell’amore.

Un principio analogo lo troviamo rispetto al piacere per il cibo, un aspetto centrale per la nostra vita, assolutamente importante da gustare con equilibrio. Mangiare non è solo nutrimento, ma è un’attività basilare che coinvolge il nostro insieme psicofisico, che è necessario appagare e coccolare pienamente. L’amore per il cibo è essenziale per la salute a 360°.

Per ottenere il massimo dell’appagamento è importante come si mangia e non solo cosa mangiare. Anche in questo caso essere attivi e presenti porta ad equilibrio ed appagamento, mentre i nostri avversari sono la compulsività verso il cibo, così come le regole ferree che ci costringono a restrizioni o regimi di varia natura, relegandoci a comportamenti alimentari che non gratificano e che non è detto siano del tutto salutari.

Tutte le religioni impongono regole alimentari, in quanto la via del controllo e dell’equilibrio è la più difficile, riservata agli yogin che non necessitano di regole.

Allo stesso modo vengono imposte regole riguardanti l’amore e la sessualità, intese come forze ancor più difficili da gestire. La loro gestione richiederebbe di controllare delle prorompenti parti emotive, operazione già difficile per uno yogin, impossibile al di fuori dello yoga.

Questo aspetto è particolarmente approfondito dal Tantra, molto conosciuto come termine, ma solitamente male interpretato. L’obiettivo del Tantra è rimanere lucidi ed evitare il coinvolgimento nell’atto sessuale, pertanto trattasi di uno stato psichico molto arduo da raggiungere. Riuscire a mantenersi al di sopra dell’emotivo è qualcosa da gestire molto prima dell’emissione del seme, e comunque non riguarda la parte fisiologica, che è naturale portare fino in fondo, tanto al maschile che al femminile, quanto lo stato emotivo e mentale.

In definitiva, l’amore in relazione allo yoga rientra nell’ambito del prânâyâmâ (gestione del pranâ), dove l’amore è una forma di pranâ ben più potente delle altre.

Arrivare a tanto equivale a trovare la chiave per vivere la propria vita in piena felicità, piacere, benessere.

Le modalità pratiche sono diverse. La prima, la più importante, è la comprensione di come stanno le cose.

1 mn di … Yoga Posturale – Stambha Vritti

di Françoise Berlette

• Una pratica di Yoga Posturale completa che stimola la forza, incrementa la respirazione e libera la mobilità delle anche e del bacino. info stage.

 

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Yoga: strada verso la Consapevolezza

di Roberto Laurenzi, Caposcuola Fondatore della Scuola EFOA e dell’insegnamento dello Yoga e Yoga Terapia

Lo sviluppo delle percezioni attraverso le terminazioni nervose

Lo Yoga è il percorso che conduce da uno stato di dispersione, o non-consapevolezza, (avidya) alla consapevolezza (vidya).

In India si dice che la non-consapevolezza è la causa di ogni sofferenza, malattia, instabilità, allorché la consapevolezza rappresenta la soluzione di tutto ciò.

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La struttura posturale esprime lo stato interiore

di Françoise Berlette, Caposcuola Fondatore della Scuola EFOA e dell’insegnamento dello Yoga e Posturale

Struttura posturale e stato interiore

All’interno della struttura posturale, si manifesta un potenziale fondamentale: la condizione della mente, oltre al fattore emotivo.

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Yoga e Baricentro

di Françoise Berlette, Caposcuola Fondatore della Scuola EFOA e dell’Insegnamento dello Yoga e Posturale

Yoga e Baricentro

Il segreto della percezione del baricentro nello Yoga, per bilanciare ed equilibrare le giuste forze negli asana.

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