LA FLESSIONE INDIETRO

di Gaia Zanchini

All’interno della pratica di Hatha Yoga sono molte le posizioni che richiedono al nostro corpo, e con esso alla nostra mente, di flettersi all’indietro.

Anche la flessione all’indietro, come la sua antitesi (la flessione in avanti), ha una forte valenza significativa che ci porta costantemente a traslare la pratica sul tappetino nella vita reale.

Niente di quello che facciamo nella pratica è meccanico e privo di significato: ancora una volta andremo a giocare con un movimento, già conosciuto, che diventa nuovo, aiutandoci ad aprire uno “spazio” vitale molto importante.

All’interno del torace ha sede il nostro cuore: esso, essendo lo spazio dove ci identifichiamo, nonché il primo organo che si forma nel feto, rappresenta il nostro sole interiore che attraverso il suo pulsare ci dà la forza per poterci realizzare e relazionare con il mondo esterno. Il cuore ha una sua struttura elettrica, non ha bisogno dei nervi del cervello, è indipendente e serve tutto il nostro organismo attraverso il suo pulsare continuo.

Le flessioni all’indietro vanno a mobilizzare lo spazio del torace, cioè lo spazio dell’Io: portare la nostra attenzione su questa parte del corpo e “aprirla” con il movimento e la consapevolezza, ci può aiutare a rafforzare la percezione di noi stessi, permettendoci di trovare fondamenta solide in ciò che siamo e re-imparando a stare bene con noi.

Nelle flessioni all’indietro andiamo ad espanderci, evidenziando lo spazio del torace, del nostro Io, in un gesto di per sé contro natura.

Andare contro natura ha in questo caso una valenza positiva: significa compiere un gesto che non usiamo nella quotidianità, poiché non previsto dalla nostra struttura articolare, ma che diventa importante per aiutarci ad affermare la nostra volontà e con essa la nostra persona.

Attraverso questo movimento, noi dobbiamo svincolarci dal nostro legame con la natura vincendo, con la forza di volontà nonché la forza fisica, la forza di gravità che ci costringerebbe altrimenti a muoverci solo verso il basso. Cerchiamo con questo movimento la nostra forza e la nostra libertà.

Una volta compresa la qualità e la valenza di questo gesto, andremo a metterlo in pratica “per sentire” come tutto questo può essere reale. La pratica della sequenza che ci è stata proposta durante la lezione è stata fondamentale per permetterci di imparare a fletterci all’indietro in maniera spontanea e senza sforzo.

La mia pratica di Hasta Uttanasana:

In piedi mi appoggio, cercando la stabilità e la sicurezza.

I miei piedi sono ben ancorati alla terra diventando un punto di solidità e di potenza: è da lì che raccolgo la forza per elevarmi ed aprirmi all’indietro.

Resto in ascolto del mio respiro cercando di percepirlo senza influenzarlo e così appoggio anche lui, radicandolo.

Quando tutto è quieto e stabile mi preparo per elevarmi. Espiro portando la mente nello spazio del torace, al cuore pulsante, e poi, inspirando, comincio ad espandermi prendendo la forza dall’appoggio dei miei piedi. In questo movimento di espansione che nasce dal basso fletto in avanti le ginocchia per proteggere la zona lombare mentre lascio scivolare in avanti il pube.

A questo punto espando il torace allungando le braccia verso l’alto. Le mie braccia alzandosi non tirano all’indietro bloccando l’espansione e raccorciando la struttura posteriore che andrebbe così a comprimersi, bensì si allungano verso l’alto, con uno stiramento che parte dalle falangi, accompagnando armoniosamente il movimento di espansione del torace.

Nella flessione all’indietro il mio corpo mantiene le proprie lordosi (piedi, ginocchia, zona lombare e collo) al fine di far sì che la forma abbia la propria mobilità e respiri. Una forma, asana, che non è mobile, senza respiro, può creare blocchi importanti a livello del corpo e della mente. Arrivo nella posizione e sento che in essa il mio corpo respira.

Flettersi all’indietro, seguendo questo percorso, ha significato per me arrivare ad una forma stabile e forte dove ho desiderato “indugiare e stare” pienamente.

E’ in questo movimento che ho imparato a sentire l’espansione posteriore del torace trovando qui il mio IO.

Le flessioni in avanti

di Dania Bicchierai

Una gestualità naturale

I movimenti che compiamo nella vita quotidiana si realizzano quasi esclusivamente in avanti; proprio per questo motivo è estremamente importante utilizzare uno schema corretto di questo tipo di mobilità. Quando ci spostiamo, nel camminare o correre, o muoviamo le mani per afferrare un oggetto, lo facciamo prevalentemente nello spazio davanti al corpo.

La flessione in avanti, inoltre, corrisponde ad una forma estremamente naturale per il corpo, in quanto costituisce la posizione mantenuta dal feto durante tutta la permanenza nel grembo materno. È anche la posizione che assumiamo naturalmente addormentandoci da seduti, quando il corpo si ripiega spontaneamente su sé stesso.

Aspetti fisici:

Sinergia delle catene

Nella nostra gestualità vengono attivate tutte le catene posturali, ma in ogni specifico atteggiamento una di esse risulta maggiormente coinvolta. Spesso la catene anteriore e quella posteriore vengono considerate “antagoniste”; in realtà la scioltezza del movimento deriva proprio dalla loro azione sinergica. Le due catene devono funzionare in perfetta complementarietà, cosicché all’attivazione di una corrisponda un rilasciamento dell’altra.

Nello specifico, le flessioni in avanti si realizzano attraverso un’attivazione della struttura anteriore, contestualmente al rilasciamento di quella posteriore. Flettendosi in avanti la struttura posteriore, ordinariamente utilizzata per raddrizzarci e mantenere la verticalità, dev’essere in grado di rilasciarsi per agevolare il piegamento.

Nel mantenimento dell’asana è opportuno focalizzare l’attenzione soprattutto sul nostro spazio anteriore, che viene attivato per potenziare il senso dell’appoggio e della chiusura che caratterizzano i piegamenti in avanti.

Uso di anche e bacino

Per non sovraccaricare la colonna vertebrale è fondamentale realizzare i piegamenti in avanti a partire dalle anche e dal bacino. Le anche costituiscono infatti il perno che collega il tronco alle gambe, articolando il femore sul bacino. L’allungamento posteriore deve sempre essere realizzato a partire dalla anche, in modo da evitare che si manifesti la retropulsione delle ginocchia; è importante, quindi, fare attenzione a preservare la naturale lordosi delle gambe.

Uso dei piedi

La mobilità delle anche, a sua volta, è favorita da un corretto utilizzo di piedi e caviglie. In particolare, un fulcro fondamentale per l’allungamento posteriore è costituito proprio dallo scivolamento in avanti dei talloni (da non confondersi col portare i piedi a martello, che provoca invece un raccorciamento).

Il respiro sulla colonna

Se non riesce a respirare, la colonna può essere rigida e “paralizzata” anche se esteriormente appare molto flessa.

La vera scioltezza è data dalla capacità di preservare la corretta vitalità della spina dorsale, grazie al realizzarsi del suo naturale ondeggiare dato dal respiro in qualunque posizione ci si trovi. I dischi inter-vertebrali sono alimentati per osmosi dalla circolazione linfatica grazie al movimento del diaframma, che con l’inspiro determina una decompressione e un allungamento della colonna, e con l’espiro la riporta in una posizione neutra, che corrisponde ad una lieve naturale compressione dei dischi.

Questo meccanismo di pompaggio consente il metabolismo del disco, determinato dall’azione ritmata di assorbimento ed eliminazione, promuovendo la salute dei dischi e la vitalità della colonna.

Proponiamo asana in avanti non per arrivare a piegarsi sempre di più, ma per imparare a far respirare la colonna in posizioni sempre più complesse (per es. Halasana).

Aspetto respiratorio:

Nelle flessioni in avanti la fase respiratoria fondamentale è l’espiro.

L’attivazione e la contrazione dello spazio anteriore del corpo (per esempio in Pashimottanasana) ci permette di arrotolarci maggiormente in avanti, attivando ulteriormente la chiusura ed evidenziando l’aspetto “terra” della posizione. Inoltre, l’espirazione è naturalmente favorita dalla Gravità, cosicché basta abbandonarvisi perché possa avvenire spontaneamente, senza alcuno sforzo.

Nello Yoga, rispetto al modo di respirare ordinario, l’espiro viene reso attivo e potente, in modo che venga concentrata al centro dell’addome la forza che poi scaturirà in un inspiro ampio e nutriente.

Aspetti psichici:

Mettere il corpo in una determinata forma ha anche ben precisi effetti interiori: non si tratta, dunque, soltanto di flettere il corpo, ma di indurre una specifica dimensione psichica. A livello mentale, anche inconscio, “andare avanti” ha un’accezione positiva, correlata con l’assecondare il flusso della vita ed esserne parte.

La gravità e l’elemento Terra

Le posizioni in avanti potenziano il nostro senso dell’appoggio e la capacità di relazionarci con la Terra, con tutto il suo significato simbolico.

Le posizioni di flessione, infatti, portano tendenzialmente verso terra, mentre se dobbiamo metterci in azione è necessario svincolarsi dalla gravità per poter vivere la verticalità.

Viene attivato un tipo di Prana che corrisponde al soddisfacimento di alcuni bisogni fondamentali legati alla sopravvivenza: il nutrimento, il sentirsi accolti e sostenuti, la capacità di abbandonarsi per poter dormire e rigenerarsi.

Questi elementi sono imprescindibili per accumulare il potenziale che ci possa permettere poi, eventualmente, di attivarci e svincolarci dalla Gravità e dalla Natura, come avviene ad esempio nelle flessioni indietro.

Chiusura e interiorizzazione

Le posizioni di flessione in avanti vengono associate alla chiusura: la forma che diamo al corpo corrisponde ad un ben preciso atteggiamento interiore, che in questo caso sarà di interiorizzazione.

Ripiegarsi e avvolgersi su sé stessi porta a rientrare nel proprio spazio, dove ci possiamo sentire al sicuro, in un atteggiamento di riflessione e raccoglimento.

Rilasciamento

Le posizioni in avanti generano un tipo di prana che nella vita ordinaria corrisponde a quello necessario per abbandonarci e lasciarci andare.

Se non siamo in grado di abbandonarci non possiamo dormire, e il sonno rappresenta uno dei nutrimenti fondamentali per la vita.

Nel quotidiano, dunque, questa tipologia di prana corrisponde ad atteggiamento di tipo passivo, che nello Yoga diventa una forma attiva di rilasciamento, in cui la mente non abbandona il corpo, ma resta vigile.