Le flessioni in avanti

di Dania Bicchierai

Una gestualità naturale

I movimenti che compiamo nella vita quotidiana si realizzano quasi esclusivamente in avanti; proprio per questo motivo è estremamente importante utilizzare uno schema corretto di questo tipo di mobilità. Quando ci spostiamo, nel camminare o correre, o muoviamo le mani per afferrare un oggetto, lo facciamo prevalentemente nello spazio davanti al corpo.

La flessione in avanti, inoltre, corrisponde ad una forma estremamente naturale per il corpo, in quanto costituisce la posizione mantenuta dal feto durante tutta la permanenza nel grembo materno. È anche la posizione che assumiamo naturalmente addormentandoci da seduti, quando il corpo si ripiega spontaneamente su sé stesso.

Aspetti fisici:

Sinergia delle catene

Nella nostra gestualità vengono attivate tutte le catene posturali, ma in ogni specifico atteggiamento una di esse risulta maggiormente coinvolta. Spesso la catene anteriore e quella posteriore vengono considerate “antagoniste”; in realtà la scioltezza del movimento deriva proprio dalla loro azione sinergica. Le due catene devono funzionare in perfetta complementarietà, cosicché all’attivazione di una corrisponda un rilasciamento dell’altra.

Nello specifico, le flessioni in avanti si realizzano attraverso un’attivazione della struttura anteriore, contestualmente al rilasciamento di quella posteriore. Flettendosi in avanti la struttura posteriore, ordinariamente utilizzata per raddrizzarci e mantenere la verticalità, dev’essere in grado di rilasciarsi per agevolare il piegamento.

Nel mantenimento dell’asana è opportuno focalizzare l’attenzione soprattutto sul nostro spazio anteriore, che viene attivato per potenziare il senso dell’appoggio e della chiusura che caratterizzano i piegamenti in avanti.

Uso di anche e bacino

Per non sovraccaricare la colonna vertebrale è fondamentale realizzare i piegamenti in avanti a partire dalle anche e dal bacino. Le anche costituiscono infatti il perno che collega il tronco alle gambe, articolando il femore sul bacino. L’allungamento posteriore deve sempre essere realizzato a partire dalla anche, in modo da evitare che si manifesti la retropulsione delle ginocchia; è importante, quindi, fare attenzione a preservare la naturale lordosi delle gambe.

Uso dei piedi

La mobilità delle anche, a sua volta, è favorita da un corretto utilizzo di piedi e caviglie. In particolare, un fulcro fondamentale per l’allungamento posteriore è costituito proprio dallo scivolamento in avanti dei talloni (da non confondersi col portare i piedi a martello, che provoca invece un raccorciamento).

Il respiro sulla colonna

Se non riesce a respirare, la colonna può essere rigida e “paralizzata” anche se esteriormente appare molto flessa.

La vera scioltezza è data dalla capacità di preservare la corretta vitalità della spina dorsale, grazie al realizzarsi del suo naturale ondeggiare dato dal respiro in qualunque posizione ci si trovi. I dischi inter-vertebrali sono alimentati per osmosi dalla circolazione linfatica grazie al movimento del diaframma, che con l’inspiro determina una decompressione e un allungamento della colonna, e con l’espiro la riporta in una posizione neutra, che corrisponde ad una lieve naturale compressione dei dischi.

Questo meccanismo di pompaggio consente il metabolismo del disco, determinato dall’azione ritmata di assorbimento ed eliminazione, promuovendo la salute dei dischi e la vitalità della colonna.

Proponiamo asana in avanti non per arrivare a piegarsi sempre di più, ma per imparare a far respirare la colonna in posizioni sempre più complesse (per es. Halasana).

Aspetto respiratorio:

Nelle flessioni in avanti la fase respiratoria fondamentale è l’espiro.

L’attivazione e la contrazione dello spazio anteriore del corpo (per esempio in Pashimottanasana) ci permette di arrotolarci maggiormente in avanti, attivando ulteriormente la chiusura ed evidenziando l’aspetto “terra” della posizione. Inoltre, l’espirazione è naturalmente favorita dalla Gravità, cosicché basta abbandonarvisi perché possa avvenire spontaneamente, senza alcuno sforzo.

Nello Yoga, rispetto al modo di respirare ordinario, l’espiro viene reso attivo e potente, in modo che venga concentrata al centro dell’addome la forza che poi scaturirà in un inspiro ampio e nutriente.

Aspetti psichici:

Mettere il corpo in una determinata forma ha anche ben precisi effetti interiori: non si tratta, dunque, soltanto di flettere il corpo, ma di indurre una specifica dimensione psichica. A livello mentale, anche inconscio, “andare avanti” ha un’accezione positiva, correlata con l’assecondare il flusso della vita ed esserne parte.

La gravità e l’elemento Terra

Le posizioni in avanti potenziano il nostro senso dell’appoggio e la capacità di relazionarci con la Terra, con tutto il suo significato simbolico.

Le posizioni di flessione, infatti, portano tendenzialmente verso terra, mentre se dobbiamo metterci in azione è necessario svincolarsi dalla gravità per poter vivere la verticalità.

Viene attivato un tipo di Prana che corrisponde al soddisfacimento di alcuni bisogni fondamentali legati alla sopravvivenza: il nutrimento, il sentirsi accolti e sostenuti, la capacità di abbandonarsi per poter dormire e rigenerarsi.

Questi elementi sono imprescindibili per accumulare il potenziale che ci possa permettere poi, eventualmente, di attivarci e svincolarci dalla Gravità e dalla Natura, come avviene ad esempio nelle flessioni indietro.

Chiusura e interiorizzazione

Le posizioni di flessione in avanti vengono associate alla chiusura: la forma che diamo al corpo corrisponde ad un ben preciso atteggiamento interiore, che in questo caso sarà di interiorizzazione.

Ripiegarsi e avvolgersi su sé stessi porta a rientrare nel proprio spazio, dove ci possiamo sentire al sicuro, in un atteggiamento di riflessione e raccoglimento.

Rilasciamento

Le posizioni in avanti generano un tipo di prana che nella vita ordinaria corrisponde a quello necessario per abbandonarci e lasciarci andare.

Se non siamo in grado di abbandonarci non possiamo dormire, e il sonno rappresenta uno dei nutrimenti fondamentali per la vita.

Nel quotidiano, dunque, questa tipologia di prana corrisponde ad atteggiamento di tipo passivo, che nello Yoga diventa una forma attiva di rilasciamento, in cui la mente non abbandona il corpo, ma resta vigile.

Paschimottasana: lo stiramento dell’Ovest

Di Laura Bonimini

Nell’annualità di Asana abbiamo l’opportunità di comprendere e sperimentare, attraverso la realizzazione di movimenti e posizioni, la collaborazione delle strutture articolari e muscolari del nostro corpo.

Capire ed interiorizzare pian piano la corretta dinamica e preparazione delle flessioni in avanti, mi ha riservato una piacevolissima sorpresa, visto che era da tempo che mi rifiutavo di eseguire posizioni come Pashimottanasana.

Le flessioni in avanti e la coordinazione fra le Catene posturali

Le catene posturali

La nostra struttura posturale, ossia l’insieme delle articolazioni e dei muscoli preposti alla realizzazione della staticità e soprattutto del movimento, è composta da cinque famiglie muscolari, chiamate anche catene. Una catena è un insieme di muscoli collegati tra loro da una specifica finalità funzionale. Una buona coordinazione tra le varie catene muscolari si traduce in un buon equilibrio posturale e nella facilità ed economicità del movimento.

Un gruppo di muscoli in tensione esercita un’influenza su gli altri muscoli vicini, sia per un fattore fisico-fasciale che per un fattore nervoso (i neuroni eccitati eccitano quelli vicini).

Esistono principalmente cinque famiglie muscolari che il corpo utilizza per esprimersi; di queste cinque, tre riguardano il nostro rapporto con la verticalità e due la nostra relazione col mondo esterno.

Dal punto di vista meccanico:

  • due delle tre catene della verticalità ci permettono di effettuare movimenti sul piano sagittale: flessione in avanti (catena anteriore mediana) e raddrizzamento (catena posteriore mediana);
  • due catene relazionali (catena anterolaterale e catena posterolaterale) ci permettono di esprimerci attraverso la gestualità e di rapportarci al mondo esterno tramite le estensioni delle braccia-mani e delle gambe-piedi;
  • la terza delle tre catene della verticalità è detta anche catena del ritmo, ed è considerata il “direttore d’orchestra” delle altre quattro catene, quella che coordina sapientemente il lavoro di tutte e quante. I muscoli che ne fanno parte sono profondi ed hanno la funzione di vincere la gravità, per elevarci, intervenendo nella fisiologia respiratoria.

Dal punto di vista psichico le tre catene della verticalità evidenziano il nostro potenziale interiore la nostra natura più profonda, in sostanza come noi ci rapportiamo con noi stessi; le due catene relazionali ci permettono di espanderci e di richiuderci in rapporto al mondo esterno attraverso la comunicazione.

Nello Yoga impariamo a muoverci in modo consapevole, venendo anche a conoscenza delle dinamiche che governano la nostra gestualità e degli schemi di movimento corretti.

Un buon insegnante deve sempre ricordare agli allievi che è l’asana al loro servizio e che lo stato di Yoga si realizza quando raggiungiamo una posizione in una condizione di confort e siamo in grado di mantenerla senza sforzo, affinchè il respiro possa esprimersi e la concentrazione della mente mantenersi costante.

“Non esiste Asana senza Pranayama e senza Dharana”.

Le flessioni in avanti – Le catene maggiormente coinvolte

La catena anteriore mediana rappresenta l’Archetipo della Madre, la terra e il suo significato di accoglienza, stabilità e sicurezza. Le potenzialità della catena anteriore sono insite dentro di noi, in posizione fetale siamo ripiegati in avanti. Ci arrotoliamo su noi stessi naturalmente quando siamo stanchi, quando vogliamo stare in contatto con noi stessi, con la vita vegetativa, con il mondo delle nostre sensazioni.

I punti fulcro di questa catena sono rappresentati dal perineo, dal retto dell’addome, dallo sterno; mentre le estremità della catena riguardano tutta la struttura del fondo della bocca, della gola (diaframma faringeo ) e dell’alluce (in particolare l’abduttore dell’alluce).

La catena posteriore mediana porta verso l’azione: un’immagine esemplificativa è quella del bimbo che si raddrizza per imparare ad alzarsi da terra e iniziare a camminare.

Come esseri umani anche questa potenzialità dell’azione fa parte di noi e della nostra evoluzione e ci permette di realizzarci nella vita, di andare avanti nonostante le difficoltà.

Il punto fulcro della catena è lo spazio del torace, lo spazio con cui ci rapportiamo al mondo. Il punto di attivazione di questa catena è la zona sacrolombare, composta dalle strutture muscolari preposte al raddrizzamento del bacino sulle gambe e sui piedi.

Le estremità di questa catena sono la fronte e i talloni.

La collaborazione fra le due catene coinvolte nella flessione in avanti

Molto spesso l’approccio alla posizione di Pashimottanasana o Uttanasana avviene attraverso la forzatura dell’allungamento della catena posteriore mediante il “tiraggio” eccessivo delle mani che si aggrappano alle caviglie o ai piedi e trascinano volontariamente tutto il tronco in avanti.

Paschimottasana

In particolare la flessione in avanti nasce dall’attivazione della catena anteriore (agonista): di conseguenza si attiverà il rilascio della catena posteriore (antagonista); è quindi essenziale realizzare la collaborazione fra le due.

La preparazione della flessione in avanti

Le azioni sulla catena posteromediana

Un principio fondamentale nella realizzazione di Paschimottanasana è il rispetto di quei punti del nostro corpo che hanno poco potenziale di allungamento:

  • i muscoli della parte posteriore delle gambe, i cosiddetti semimembranosi – semitendinosi, non devono mai essere forzati. Questa muscolatura ha il particolare ruolo di stabilizzare la massa del bacino sui femori per evitare che questo cada in avanti, ed è quindi poco incline all’estensione;
  • la zona lombare, la parte meno mobile della nostra colonna, che riveste il ruolo di principale stabilizzatore della verticalità, è dotata di una rete di muscoli e di legamenti importanti preposti al mantenimento dell’equilibrio del tronco sull’asse verticale e alla distribuzione delle forze verso i distretti periferici inferiori (le gambe). L’unico stiramento benefico che interviene su questa zona è quello provocato dalla respirazione: in particolare durante la discesa del diaframma all’inspiro, quando si attua una delordosi naturale delle vertebre lombari soggette al tiraggio dei pilastri dello stesso e alla pressione interna degli organi.

Da quanto appena esposto si evince che il margine di estensione si potrà ottenere rilasciando altre parti del nostro corpo, come ad esempio le estremità della catena posteriore: sotto le dita dei piedi fino alla zona del tallone – caviglia e dalla fronte fino a tutto il connettivale del cranio.

Sarà altresì importante agire sulla flessibilità delle anche, nonché sulla rieducazione del corretto schema di movimento. Per salvaguardare la salute della colonna è utile allenarsi a ruotare sulla cintura delle anche inclinando in avanti il bacino e a seguire il tronco e la testa che devono rimanere in asse. Infine l’allentamento di contrazioni sulla zona del dorso renderà più disponibile la muscolatura posteriore a concedere al tronco la flessione in avanti.

Le azioni sulla catena anteromediana

La tonificazione dell’addome e dei muscoli pelvici, compresa la tonificazione del perineo sarà essenziale per provocare un ulteriore rilascio della catena posteriore.

In particolare per agire sulla muscolatura profonda della colonna, le torsioni (adattate naturalmente alla nostra fisiologia) sono senz’altro benefiche se accompagnate dalla corretta dinamica respiratoria.

Irrobustire la parete addominale dei trasversi addominali fa sì che per via riflessa, durante il piegamento in avanti, avvenga un naturale allungamento dei muscoli posteriori senza dover intervenire con trazioni forzate.

Pashimottanasana nasce quindi spontanea da un’azione della catena anteriore e dalla giusta collaborazione della catena posteriore: in questo modo, vi sarà rispetto del corpo e non si scatenerà la naturale reattività di una muscolatura troppo tesa e contratta; al contrario, finalmente, potremo percepire il suo abbandono incondizionato alla forza di gravità.

Una volta immobili nella posizione il ritmo del respiro creerà un lieve ondeggiare dal quale sarà piacevole farsi trasportare.

In questo asana apprezzeremo quel naturale ripiegamento in avanti ricordo del nostro periodo prenatale in cui, cullati nel liquido amniotico, ci sentivamo protetti ed amati.

Conclusioni

Ripiegarmi dolcemente su me stessa, nel modo corretto indicato da Francoise, ha avuto un’azione calmante sul mio sistema nervoso: di conseguenza, rilassando e tranquillizzando sia il corpo che la mente, ho ritrovato facilmente interiorità e raccoglimento.

Continuo a praticare Pashimottanasana seguendo queste indicazioni e pian piano sto vincendo le resistenze e le paure che nel tempo mi avevano ostacolato e fatto sì che etichettassi l’asana come pericoloso per la mia colonna quindi fuori dalla mia portata.

Asana: luogo di libertà e potenzialità espressiva

di Giovanna Tesio

Asana come forma esterna

L’approfondimento degli insegnamenti di hathavidyà apre nuovi scenari nella pratica yoga, offrendo strumenti tecnici che guidano ad un nuovo concetto di pratica e di esecuzione delle posizioni.

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