di Daniela Serafini
E l’asana s’illumina d’immenso
La pratica: concentrazione, presa di coscienza, capacità di provare piacere. Ritrovare con lo hatha yoga una condizione di centratura, forza e vitalità.
Lo Hatha Yoga, Straordinario
L’hatha yoga è indubbiamente una disciplina preziosa per tempi come i nostri, in cui la società ci offre tante comodità ma ad un prezzo di cui spesso non siamo consapevoli.
Grazie ad una pratica che segue determinate regole (concentrazione, presa di coscienza dei nostri limiti, ma anche delle nostre possibilità, la capacità di provare piacere,“ananda”, in ogni asana che andiamo ad eseguire) possiamo ritrovare una condizione di centratura.
Questa ci fa sentire più forti, più sereni, carichi di una vitalità che ci consente di affrontare anche le situazioni più difficili, con maggior sicurezza e determinazione.
Tutto questo è reso più facile da uno strumento di cui l‘hatha yoga dispone e che ne esalta straordinariamente la potenza: il kriya yoga.
Una pratica completa: il Kriya Yoga
Il kriya yoga nasce intorno all’anno 1000 ed è attinente a tutto ciò che riguarda la purificazione.
Il termine kriya significa “azione che purifica” e deriva dalla radice “kr”=azione, movimento.
E’ possibile praticare il kriya yoga a diversi livelli:
- Fisico, dove per kriya si intende il movimento.
A questo livello andiamo a sincronizzare i movimenti del corpo col respiro e a coordinare i movimenti delle varie parti del corpo tra di loro.
Il risultato è andare ad eliminare rigidità e tensioni, e al contempo purificare la mente, così concentrata in tale pratica, da non produrre alcuni pensieri parassiti.
- Pranico, dove in un asana andiamo a creare percorsi di coscienza nel corpo che permettano alla mente di condurre il prana, la forza vitale (ed è quello che andremo ad approfondire in questa sede).
- Mentale, con lo scopo di rendere la mente pura, sattvica, facendola muovere nel corpo attraverso percorsi prestabiliti ad una velocità che aumenterà con una pratica assidua (i 20 kriya di Swami Satyananda).
Il Kriya Yoga negli Asana
Vediamo quindi cosa può fare il kriya yoga nella pratica degli asana.
Sappiamo bene che non tutti gli asana sono uguali in quanto a difficoltà di esecuzione.
Le posizioni che richiedono forza, spesso non riusciamo a tenerle quanto vorremmo, ed è noto che più a lungo riusciamo a mantenere una posizione, maggiori sono i benefici che ne possiamo trarre.
Per rendere significativa la durata di un asana, in prima istanza sono fondamentali gli appoggi, grazie ai quali possiamo rendere la posizione “sthira” e “sukha” ossia stabile e comoda.
Ma non potremo non sorprenderci vedendo i risultati che si ottengono aggiungendo ad una buona padronanza dell’asana gli strumenti che ci vengono forniti dal kriya yoga.
Kriya in Trikonasana
Prendiamo come esempio una posizione classica: Trikonasana.
Assunta la posizione (il lavoro che andremo a fare vale anche per le molte varianti possibili), andiamo a costruire i percorsi dove far scorrere prana, ossia le nadi (lett. ruscelli).
Supponiamo di voler prendere la forza dalla terra.
Ci concentriamo sul cuore della pianta dei piedi (pada tala hridaya) e da lì immaginiamo di assorbire il prana della terra, facendolo poi risalire lungo le gambe.
Conduciamo prana al centro dell’addome, dove le nadi che “percorrono le gambe” (in realtà la mente lavora sul corpo pranico e solo per comodità ci riferiamo al corpo fisico) si uniscono nel kanda dell’addome, centro di accumulo del prana della grandezza di un pugno.
Dal kanda, facciamo risalire il flusso di prana verso la clavicola che sta in alto, quindi lungo il braccio fino al cuore della mano, per farlo fuoriuscire dalla punta delle dita della mano, verso il cielo.
Probabilmente a questo punto cominceremo a sentire una piacevole sensazione di calore pervadere tutto il corpo, segno tangibile che il flusso di prana sta effettivamente circolando guidato dalla nostra mente.
Mantenere la posizione piu’ a lungo
Praticando Trikonasana in questo modo, ci accorgeremo che saremo in grado di mantenere la posizione più a lungo del solito e, con il tempo e la costanza.
Potremo arrivare a sentire di essere capaci di stare nella posizione per un tempo indefinito, in una condizione di piacere e appagamento che gli indiani sono soliti definire “ananda” (beatitudine).
Analogamente possiamo adottare la stessa tecnica per tutti gli asana che vogliamo.
Di volta in volta costruiremo il percorso che ci sembra più opportuno e utilizzando, oltre al kanda principale dell’addome, altri kanda secondari, che andremo a collocare in modo strategico in punti del corpo (ovviamente stiamo parlando del corpo sottile, sukshma sharira) che desideriamo rivitalizzare o curare.
Sceglieremo poi caso per caso se andare ad assorbire prana dal sole, dalla luna, dalla terra, etc.
Ad esempio nel caso di trikonasana potevamo decidere di prendere il prana dal cielo, facendolo entrare dalla punta delle dita della mano e costruendo un percorso inverso a quello precedente, in modo tale da far fuoriuscire prana dal centro della pianta dei piedi.
In particolare, se immaginiamo di assorbire il prana dal sole, possiamo visualizzare un flusso di prana come una luce dorata e non ci sembrerà eccessivo affermare che l’asana “s’illumina d’immenso”.