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Manas shaktimat prana

Feb 15, 2016 | Kriya

di Nadia Pellegrini

L’anno di Kriya Yoga

A livello personale, il Kriya yoga ha portato la mia conoscenza della natura umana, basata fino ad oggi su concetti derivati prevalentemente dalla mia formazione medica e psichiatrica, da un piano psichico e teorico a un piano più fisico e pranico.

Introduzione

Nel corso della prima lezione dell’annualità sul Kriya Yoga si è discussa la definizione di Kriya ed è stato quindi spiegato il fine di tale pratica.

Nell’ambito dell’intera annualità sono stati poi approfonditi altri aspetti del kriya e soprattutto sono stati sviluppati in modo esperienziale i concetti di circuiti mentali e fisici.

Questo mi ha permesso di arricchire la mia conoscenza del rapporto mente-corpo-prana, sperimentando il potenziale creativo della mente e quindi toccando poi con mano anche la possibilità di influenzare a livello molto profondo la nostra psiche attraverso la pratica yoga.

A livello personale, il Kriya yoga ha portato la mia conoscenza della natura umana, basata fino ad oggi su concetti derivati prevalentemente dalla mia formazione medica e psichiatrica, da un piano psichico e teorico a un piano più fisico e pranico.

Rileggere in chiave psicologica i concetti, esposti durante la lezione, mi è utile quindi per integrare lo studio dello yoga con la mia personale e professionale conoscenza della psiche umana.

Gli strumenti del Kriya Yoga

Mentre il Kundalini Yoga, approfondito nella precedente annualità, mi ha dato modo di conoscere l’enorme potenziale creativo del pensiero e la possibilità di elevazione del nostro stadio di coscienza e di consapevolezza, il Kriya yoga mi ha fornito strumenti di crescita più accessibili e maneggevoli anche da chi:

1. si avvicina alla pratica yoga in uno stato mentale alterato (ansia, logorio psichico, preoccupazione, ecc);

La mente trova pace quando si appoggia al ritmo, perché dal caos viene condotta verso la natura duale che caratterizza l’ordine naturale che ci circonda.

2. teme di sentirsi a disagio in pratiche yoga statiche e che richiedono quindi una maggior padronanza della propria disciplina mentale.

La mente è descritta dagli indiani come una scimmia ubriaca morsa da una tarantola, per cui nel momento in cui le si chiede di fermarsi in un asana, impazzisce dalla noia e diventa talvolta ingestibile.

Distraendola con un ritmo o un oggetto non disfunzionale, come in un circuito kriya, si disciplina più gradualmente.

Obiettivo della relazione

In questa relazione quindi intendo riassumere i contenuti spiegati alla prima lezione del corso di kriya, rileggendoli però in chiave inter-annualità (integrandoli con quanto appreso nelle annualità di Hatha e Kundalini Yoga) e soprattutto inter-professionale (cercando punti di incontro tra il pensiero filosofico yogico e la psiologia moderna occidentale).

Perchè fare yoga

La psiche è stratificata in cinque diversi livelli di profondità e gradi di nitidezza (Vritti).

I gradi di nitidezza o i filtri di questi strati sono detti veli, o kleśa.

I klesa sono considerati da Patanjali la causa della sofferenza umana, in quanto impediscono una visione nitida della realtà.

  • La mancanza di consapevolezza della realtà (avidya) ,
  • il senso dell’egoismo o senso dell’io-sono (asmita),
  • le attrazioni e le repulsioni verso gli oggetti (Raga e Dvesha)
  • ed il forte attaccamento alla vita (Abhiniveshah) costituiscono le grandi afflizioni (kleśa) o cause di tutte le miserie della vita”.
    (Yoga Sutra, II-3)

In termini più psicologici

In termini più psicologici, Jung li definisce come le pulsioni inconsce, la libido (“Psicologia del Kundalini Yoga”, Jung 1932), che muove verso il principio di individuazione, cioè spinge al formarsi di una personalità distinta dal resto.

Tali forze istintuali però intrappolano l’individuo fermando la sua conoscenza della realtà a un livello superficiale.

La spinta all’ individualizzazione (Asmita) è quindi la nostra capacità di sentirci separati da ciò che ci circonda, ma è una parte di noi condizionata e condizionabile, ed è anche caratterizzata dalla difficoltà di vedersi (avidya) come parte del Tutto.

Avidya è anche l’afflizione quindi che conduce a identificarsi con i propri condizionamenti mentali.

Non essendo consapevoli dei processi inconsci, si finisce per essere mossi e dominati inconsapevolmente da essi.

Arrivando invece ad avere consapevolezza degli elementi della realtà inconscia, allora si attiva l’Antakarana, cioè lo stato di consapevolezza umana totale in cui si è padroni del proprio mondo interiore.

Manas (la mente) è l’insieme delle funzioni psichiche che permettono all’uomo di attivare tale consapevolezza.

Attraverso la pratica yoga, manas viene disciplinata e condotta in questo percorso di conoscenza e dominio di sé.

Mediante lo yoga dunque l’uomo realizza sé stesso ponendosi in ascolto/osservazione/percezione della propria natura reale, ripulita dai condizionamenti, e non separata dal Tutto.

Sperimenta la lucidità di una mente talmente veloce da essere ormai ferma e fredda come la luce lunare.

Nel percorso yogico, l’individuo impara anche a conoscere se stesso nei propri limiti, percependo gli elementi di cui è composto e imparando a direzionarli.

Nel suo “Lo yoga e l’Occidente”, Carl Gustav Jung è solito dare dello yoga una definizione psicologica:

“Originariamente lo yoga era un processo naturale di introversione (…). Un’introversione del genere porta a caratteristici processi interiori di mutamento della personalità.”

Il ruolo del Kriya Yoga

Kriya ha in sé la radice “Kr-” che significa movimento. E’ un movimento di purificazione.

Anche se in modo semplicistico e riduttivo, mi piace pensare al Kriya yoga come all’immagine metaforica del tergicristallo di un’auto.

Durante le tempeste emotive la mente viene annebbiata dal prana.

Mediante le pratiche di kriya, la mente (Manas), appoggiandosi al ritmo duale del respiro, conduce a una visione più trasparente della realtà e della nostra natura, dal momento che incanala il prana attivamente e pulisce dalle impronte mentali (śarīrāḥ).

Il Kriya yoga asseconda e supera la natura umana rajasica (dedita al movimento pulsionale ed emotivo) e tamasica (propensa all’inerzia degli schemi fissi), elevandola però a un livello di omeostasi superiore.

Nella pratica del kriya yoga, si sceglie attivamente dove condurre il pensiero e la forza vitale (prana) nel corpo, creando circuiti mentali e/o fisici.

Così facendo, rompiamo gli schemi fissi e gli automatismi condizionati di cui siamo vittime quando siamo passivi.

Chi pratica yoga realizza se stesso mediante la disciplina della mente, che viene istruita a scegliere attivamente quali schemi e quali pensieri produrre.

Questa è la via del guerriero che sceglie di cavalcare la tigre.

In cosa consiste il Kriya Yoga

Nella mia esperienza pregressa di praticante buddhista della tradizione theravada e anche oggi nell’ applicazione della mindfulness in ambito psicoterapico, ho conosciuto la meditazione come allenamento allo stato di distacco/disidentificazione con i processi mentali e di vuoto della mente.

Nello yoga invece ho imparato che la realizzazione sta nell’ottenere attivamente ciò che si vuole da sé stessi.

Pertanto lo yoga ci insegna a guidare la mente, e con essa anche il prana; “MANAS SHAKTIMAT PRÂNA” (trd. La mente conduce e guida il prana).

Il prana, la forza vitale che anima ciò che vive, e che nel nostro corpo è veicolata dal respiro, è come un elefante, forte ma grossolano e indelicato nei movimenti, e tende ad essere poco direzionato, poco intelligente.

La natura del prana è però la stessa del nostro emotivo (o dell’inconscio), cioè si lascia fortunatamente condurre.

Pertanto mediante manas, che è come un bambino intelligente anche se, non così forte come l’elefante, siamo in grado di gestire e condurre l’emotività, in modo tale che questa non bruci e consumi il prana, fino a far si che anche il corpo ne risulti impoverito.

Con il Kriya Yoga si impara quindi a percepire il prana, a purificarlo, a incamerarlo e a condurlo.

Ecco quindi che nel kriya si producono dei circuiti immaginativi/mentali (MANO VAHAINI) sia durante l’esecuzione di movimenti fisici ritmici sostenuti dal respiro (es. Bhujanga kriya), sia durante la visualizzazione e creazione di immagini archetipali a livello mentale/meditativo (es. Shambavi o Shakti Chalini).

Tali circuiti sono attenzionali e immaginativi solo inizialmente.

Infatti in essi poi viene portato il prana purificato e fatto passare dalla testa, oltre la volta del palato – confine tra prana e manas –  e questo è ciò che potenzia e vivifica tali circuiti (PRANO VAHAINI).

Quanto creato nella pratica di kriya non rimane però solo a livello mentale e pranico, ma diviene infine corporeo, producendo la somatizzazione (localizzazione somatopsichica) del circuito.

Ecco come lo yoga incida sul fisico attraverso il pensiero, perseguendo l’ideale alchemico di addestrare la mente a trasformare la materia vivente (magia).

Conclusioni

Quando si vive spinti dalla passioni e dal fuoco delle emozioni, si è fermi in Manipura Chakra, in quanto a consapevolezza delle proprie dinamiche interiori.

Il Kundalini Yoga, mediante il Butha Shuddhi, ci insegna a realizzare i chakra e questo, purificando il prana e usandolo per potenziare i pensieri, identificandosi con gli archetipi superiori, induce la personalità a evolvere ad uno stadio superiore.

Quindi si passa ad Anāhata Chakra; uscendo così allora dall’emozione ci si chiede perche ci si stia comportando così.

In pratica a livello del quarto chakra, superata la volta del diaframma, diventiamo consci di qualcosa che non è personale; questo passaggio fa sì che ci si elevi al di sopra degli avvenimenti emotivi e si prenda le distanze da essi.

Come notato infatti anche da Jung, nella sua lettura del Kundalini Yoga, essendo a questo livello di consapevolezza che si ha la prima idea del Sé, è qui che inizia il processo di individuazione.

“L’Io scopre di essere una mera appendice del Sé e di avere con esso una sorta di debole collegamento” (Psicologia del Kundalini Yoga, Jung 1932).

Questa riflessione sul Kundalini Yoga e sul suo stretto collegamento con la psicoterapia, mi consente di sottolineare la portata del ruolo del Kriya nel percorso del guerriero che segue la via dell’Hatha Yoga.

Con il kriya yoga, il tantrico pulisce la propria mente dagli automatismi stagnanti e affina la capacità di dirigire il proprio pensiero, e quindi il prana, nel percorso di riunione con il Tutto.

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