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UJJAYI PRANAYAMA – il Grido del Vittorioso

Mag 11, 2018 | Pranayama

di Laura Bonomi

La respirazione in Ujjayi: una delle pratiche fondamentali del Pranayama

Non desidero dare spiegazioni troppo tecniche della respirazione in Ujjayi, a questo scopo esistono testi e dispense sicuramente più esplicativi e chiari, al contrario vorrei provare ad analizzarne gli aspetti più sottili e la sua importanza nella pratica Yoga ma anche nella vita quotidiana.

Ujjayi nella gola

Ujjayi si esprime nella gola, lo spazio relato alla parola, alla comunicazione e quindi alla concretizzazione del pensiero. L’etere, l’elemento legato alla zona della gola, governa appunto la produzione dei pensieri che con Ujjayi vogliamo in un certo senso “spegnere”, “purificare” o “direzionare”.

L’attivazione di Ujjayi non rimane però confinata in quest’area ma dovremmo sentire, al contrario, che la vibrazione prodotta dallo sfregamento dell’aria a contatto con le corde vocali, sale verso l’alto proprio come un grido!

Questo, prima di tutto per una ragione fisica di salute delle corde vocali (per non usurarle), senza trascurare però, che in una logica più sottile, Ujjayi porta la consapevolezza verso lo spazio della mente, attivando quindi la risalita di prana (un prana che si suppone “purificato” da pratiche precedenti).

SOHAM il mantra respiratorio

Come già sottolineato con questa tecnica inspiro ed espiro producono un leggero suono che, sdoppiato, si distingue in: “SO” durante l’inspiro e in “HAM” durante l’espiro.

SOHAM è un fondamentale mantra respiratorio e, come tutte le formule che si ripetono a lungo, avrà un valore soltanto se sostenuto da una seria e motivata intenzione.

Reiterando nella ripetizione del SOHAM si potrà avvertire che il rumore generato, dall’attrito dell’aria sulle corde vocali, ha un profondo e potente effetto calmante, precisamente “spegne” quel suono di fondo che rimbomba continuamente nella nostra mente e che è rappresentato dai nostri pensieri parassiti.

Un’esperienza personale

Vorrei citare un particolare episodio, in cui in un particolare momento di tensione collettiva, Ujjayi ha completamente cambiato il mio stato emotivo.

In pochi minuti in un ufficio pubblico si è scatenata una vera e propria protesta contro il personale, causa la lentezza e la gravosità di alcune pratiche le numerose persone presenti in sala urlavano e sbraitavano, qualcuno sembrava anche sul punto di intraprendere qualche azione violenta. Mi sono resa conto che non potevo assolutamente né muovermi né intervenire per calmare la situazione; dentro di me stava nascendo un profondo senso di disagio unito a una forte irritabilità, ero contagiata dal clima che si era creato intorno a me.

Il mio respiro è diventato corto e superficiale, la mia mente iniziava ad annebbiarsi, mi sono ricordata in quel momento della respirazione in Ujjayi e poi non potevo sprecare le mie energie e farmi trasportare dalla “pazzia collettiva”.

Ho iniziato a respirare con la glottide semi-chiusa in un leggero Ujjayi.

Ho cercato, dapprima, di intervenire sul ripristino di un flusso respiratorio regolare che si allungava di respiro in respiro.

Sono entrata poco a poco in un profondo stato di connessione con il ritmo e il suono del mio respiro e nel mantra SO HAM mi ripetevo: all’inspiro “io sono” e all’espiro “molto calma”.

Non mi sono distratta ho continuato e non so per quanto, sentivo i battiti del mio cuore rallentarsi, il corpo rilasciarsi (soprattutto le mandibole e il viso), la mente ritornare lucida e serena, sentivo i rumori e il vociare intorno a me, ma ne ero come isolata e protetta.

Ho continuato con Ujjayi anche quando ho dovuto discutere con l’impiegato di turno, parecchio indisponente peraltro, e ho lasciato Ujjayi appena fuori dall’ufficio, all’aria aperta.

Sono seguiti un bel sospiro spontaneo e un sorriso unito ad una grande soddisfazione, avevo applicato gli insegnamenti dello yoga in una situazione quotidiana dove per un nonnulla potevo perdere la mia calma, e senz’altro me ne sarei amaramente pentita.

Mi sono sentita vittoriosa, avevo tenuto a bada la pulsione emotiva, impedendole di invadere la mia mente, un attimo prima che un prana squilibrato e distonico la surriscaldasse, facendole perdere la razionalità e il controllo.

Per me questo è stato davvero un grande insegnamento.

L’evoluzione del SOHAM

Continuando a recitare e ad ascoltare questo suono, il SOHAM si trasforma nelle sillabe “HAM”e “SA”, HAMSA diventa allora un passaggio dalla fase duale di inspiro, “SO” (dal basso verso l’alto) e dell’espiro “HAM” (dall’alto verso il basso), alla fase in cui appare un’unica direzione dal basso verso l’alto.

In questo momento ci identifichiamo con l’oggetto della nostra meditazione: dalla formula SOHAM che potremmo tradurre in “io sono quello…” si passa alla formula HAMSA tradotta in “quello sono”, un passaggio ove diventiamo l’oggetto (simbolo o intenzione) della nostra meditazione, tant’è vero che alla fine il mantra si trasforma nella “OM”, il suono dell’origine dell’universo, l’unicità.

Con Ujjayi usciamo quindi dalla condizione tamasica e portiamo la nostra mente in una condizione più vittoriosa, più elevata, più attiva, per questo utilizziamo i muscoli della gola, l’organo di manifestazione del pensiero.

Saper interagire correttamente con questo spazio significa anche saper gestire i propri pensieri, per evitare la produzione di pensieri non voluti, pensieri non nostri ma condizionati dagli eventi esterni.

Ujjayi nella pratica dello Yoga

Tutti gli asana dovrebbero essere eseguiti con la respirazione in Ujjayi

La vibrazione del respiro in Ujjayi si esprime nella gola e può risultare più o meno intensa a seconda dell’obiettivo che ci prefiggiamo.

Un asana impegnativo dal punto di vista fisico, es. Utkatasana, la sedia, richiederà un ujjayi più fisico in cui il restringimento della glottide avverrà in modo più marcato e il suono sarà più forte, in una posizione più neutra, es. sukkhasana, la contrazione della muscolatura sarà meno intensa e il suono prodotto da ujjayi risulterà più leggero più sottile, con una connotazione più rivolta all’interiorizzazione.

Inoltre, vi sono posizioni in cui ujjay è più difficile da sostenere e posizioni in cui si installa in modo molto naturale (es. Sethu Asana, Sarvangasana, Halasana, in genere tutte le posizioni capovolte).

Allenando opportunamente e in modo progressivo la respirazione in Ujjayi, potremo sfruttare questo prezioso strumento in modo consapevole, imparando a modularlo a seconda delle nostre esigenze e aspettative.

Sia che Ujjayi si realizzi più intensamente o meno, dovremo avere cura di impostare un ritmo di inspiro ed espiro che sia costante e armonico, in cui le curve del respiro siano rispettate e la portata dell’aria, sia in entrata che in uscita, si mantenga sempre regolare.

In questo modo daremo vita ad un respiro circolare, ove inspiro ed espiro nascono l’uno dall’altra esprimendosi con un moto pendolare e continuo, riflesso di una condizione mentale di calma e di attenzione al momento presente, in cui ogni azione non sfugga al nostro controllo ma sia consapevolmente realizzata nel rispetto dei nostri ritmi vitali.

Conclusioni

Senza Ujjayi si potrebbe dire che non sto facendo veramente hatha yoga, con Ujjay invece porto la mente al posto di comando, affermo che la mente è il Re del suo mondo (il corpo).

A questo punto il suono che avvertiremo, prodotto dalla respirazione in Ujjayi, sarà veramente il suono della vita, il suono di Prana.

 

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