Il termine sanscrito pranayama è composto da due parole: prana e ayama.
Prana significa “forza vitale” (da pra- “davanti, verso, promuovere” e na “respirare”; ayama significa “estensione”, “espansione”, “controllo”): quindi pranayama può essere tradotto letteralmente come “espansione della forza vitale”.
Nel pranayama, il corpo è utilizzato come supporto, ma non è la parte più significativa, in quanto è la mente che agisce ed attiva ciò che vogliamo realizzare. La mente per rapportarsi al corpo usa il veicolo del prana, attivandosi per immagini percettive.
Nell’Hatha yoga viene utilizzata un asana cioè una forma fuori dall’ordinario (non solo fisica, ma anche respiratoria), dove il ritmo respiratorio ordinario viene alterato, al fine di ottenere particolari stati fisici/mentali volontari. Quando la mente, usando il prana si convoglia verso il corpo, riesce a somatizzare ed assumere le forme desiderate. La parola somatizzazione non ha una valenza negativa: nella pratica yogica possiede un obiettivo positivo, cioè quello di imparare a gestire e a costruire delle forme volute in modo attivo. Si crea e si fortifica una potenza, quella interiore, basata su tre elementi: Jnana /conoscenza, iccha /volontà, shakti /potenza.
Ciascuno di questi tre elementi, se presi separatamente, non fanno raggiungere all’individuo lo scopo prefisso. L’obiettivo della persona nello yoga così come nella vita, è quello di esprimere appieno le sue potenzialità di vitalità di cui è donato dalla nascita.
Il pranayama si realizza attraverso dei ritmi particolari in quanto anche la vita è un ritmo.
Di solito una respirazione lenta, regolare o ritmata porta ad uno stato di calma e di relax; una respirazione rapida crea un effetto stimolante e rivitalizzante in tutte le parti del corpo, mentre il solo equilibrare il flusso del respiro nelle narici porta ad uno stato di equanimità.
Quando, inoltre, prendiamo coscienza degli aspetti del respiro e del prana siamo più consapevoli e sensibili.
Nelle diverse fasi del giorno, ognuno di noi può sentire la necessità di aumentare il proprio livello di forza vitale o il bisogno di staccare e creare uno stato rilassato, calmando i movimenti della la mente: con le tecniche di pranayama è possibile venire incontro a queste esigenze, scegliendone di volta in volta una specifica e adatta a quel particolare risultato che vogliamo ottenere. Ad esempio di mattina, dopo una nottata di riposo ci può essere la necessità di una carica per iniziare la giornata con maggior vitalità e serenità. Di pomeriggio, dopo aver dedicato svariate ore alle nostre attività di lavoro o studio, c’è il bisogno di portare uno stato d’armonia ed equilibrio in tutto il corpo. La sera si ha bisogno invece di calmare e rilassare mente e corpo.
Un’ottima tecnica per portare uno stato di armonia e vitalità è Samavṛtti Prāṇāyāma: Samavṛtti pranayama crea una grande sensazione di equanimità, in quanto il suo ritmo è quello che è in relazione all’elemento terra (Pritthvi) appartenente al Muladhara Chakra (mula, radice; adhara fondamenta). “Sama” significa “sempre uguale, bilanciato” e “Vṛtti” vortice, senza inizio e senza fine. La pratica calma la mente e rilassa il sistema nervoso, bilanciando la forza vitale.
La tradizione yogica divide il ciclo respiratorio in quattro fasi:
- Inspirazione (puraka),
- Espirazione (rechaka),
- Ritenzione del respiro dopo l’inspirazione o ritenzione a pieno (antara kumbhaka),
- Ritenzione del respiro dopo l’espirazione o ritenzione a vuoto (bahya kumbhaka)
Nella respirazione ordinaria, queste quattro fasi hanno normalmente durate differenti tra di loro.
Il ritmo di questa respirazione è 1.1.1.: ecco perché è usualmente chiamata la “tecnica del respiro quadrato”. Nella nostra mente possiamo immaginare effettivamente un quadrato. L’inspirazione sale lungo il lato sinistro del quadrato, durante la ritenzione interna la consapevolezza si muove lungo il lato superiore del quadrato; l’espirazione discende lungo il lato destro; durante la ritenzione esterna portiamo la consapevolezza lungo il lato inferiore del quadrato. Questa è una respirazione completa. Quindi sia le fasi di inspirazione che espirazione, sospensione a pieno e a vuoto, hanno la stessa durata. Insieme alle sospensioni è utile mettere in atto il “TrayaBandha”:
- contrazione del perineo a fine espirazione e a fine inspirazione: Mula Bandha
- chiusura della gola a fine espirazione e a fine inspirazione: Jalandhara Bandha
- pressione verso l’interno dell’addome durante la sospensione sia a polmoni vuoti che a polmoni pieni: Uddiyana Bandha
Prima di eseguire questa tecnica (come qualsiasi altra) è utile effettuare una pratica corporea propedeutica per ottenere i massimi benefici, in quanto il corpo e la mente preparati sono più idonei a ricevere gli effetti del pranayama. Una particolare attenzione va alle narici, che devono essere purificate e, durante la pratica, devono essere controllate coscientemente permettendo all’aria di entrare nel corpo più facilmente.
E’ poi importante, concludere l’esercizio, riducendo progressivamente il ritmo adottato per non creare una frattura respiratoria. E’ lo stesso principio per cui usciamo da una forma corporea in modo graduale per non sentire disagio. Mentre il corpo ci avvisa che qualcosa non va con sensazione di dolore, il respiro non ha modo di farlo, ma sicuramente pagheremo le conseguenze di una uscita repentina “dall’asana respiratorio” con disagi a livello psichico.
Al termine della pratica si respira liberamente, ma sempre con calma e consapevolezza. Per qualche momento, è importante portare a livello percettivo i risultati ottenuti e soffermarsi a godere degli effetti che questa tecnica ha sviluppato in termini di armonia ed equilibrio sia a livello fisico, che a livello mentale. Respirare è un atto così naturale, così spontaneo che raramente le persone si rendono conto di quanto sia prezioso.
Prendere coscienza della respirazione, respirare in modo corretto e successivamente poter controllare tale atto, ci dona delle risorse vitali inimmaginabili che possiamo comprendere solo con l’esperienza diretta.