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L’Hatha Vidyà mi ha fatto riflettere

Feb 21, 2016 | Hatha Vidya

di Marina Oneta

Vidya, Vedo uno Spiraglio

Questa volta, non ho intenzione di fare una relazione della lezione, riassumendo più o meno ciò che ho compreso della lezione, mettendo anche dei riferimenti da esperienze personali..  Vorrei parlare un po’ di me, partendo proprio dall’ultima lezione di domenica 17 gennaio.

Un piccolo bagaglio

A ogni lezione, alla sera tornando, si porta a casa un piccolo bagaglio in più, di conoscenze e di esperienze.

Arrivata al sesto anno alcune cose si sono già sentite, dibattute ed esperite, ma sempre si aggiunge qualcosa.

Domenica sera però, ho avuto quasi una rivelazione, una panacea per i vari doloretti che mi affliggono ultimamente per vari motivi.

La sovra contrazione mi ha risolto un problema dell’ileopsoas, ma allo stesso tempo ho riflettuto su di me e mi si è aperto uno spiraglio, quasi come una sorta di “Vidyà”.

Non ho scoperto cose che non sapevo su di me, ma ho solo composto qualche pezzo di puzzle in più.

Le Riflessioni su di me

Quando ho sperimentato la sovracontrazione, sono stata felice di aver notato come un “trucco”, molto somigliante agli esercizi di isometria fatti spessissimo in palestra, ma non altrettanto efficaci, abbia risolto problemi che nonostante lo yoga, l’impegno e la buona volontà non si risolvevano.

Tutto questo mi ha portato, ancora ma forse in modo più concreto e lucido a riflettere su come i nostri schemi ci facciano male, e come i pensieri siano, in realtà lo specchio di ciò che è il nostro corpo.

Tutti noi per razza, branco e tipologia abbiamo schemi mentali, che con gli anni si radicano e ci impongono un determinato atteggiamento e postura.

Questi schemi all’inizio naturali, con l’andar del tempo si riducono e diventano sempre meno naturali.

Anche quando pensiamo di essere liberi, non influenzati dai fattori esterni e dai nostri pensieri e film mentali, siamo tutti in balia di questo mondo esterno.

Vittime, consce o meno, di ciò che ci hanno e che noi stessi ci imponiamo, influenzando grandemente la nostra postura, i nostri gesti, i nostri movimenti e così il nostro corpo visibile e invisibile.

E allora mi sono fermata a riflettere su ciò che ha influenzato me..

Sono nata e cresciuta in una famiglia piuttosto intellettuale, impegnata politicamente, con ideologie progressiste, ma nel contempo con regole ferree e quasi militaresche.

Ancor oggi quando scherziamo con nostra madre, io e i miei fratelli diciamo che ci ha cresciuti come dei piccoli marines..

Nostro padre forse più dolce era comunque portato alla vita sana, naturale, attratto dalle medicine alternative e comunque, entrambe, davano molta importanza a “mens sana in corpore sano”.

Tutto ciò sicuramente lodevole per certi versi, ha però fatto in modo che, per me, il corpo doveva essere uno strumento per essere sani, dove in realtà l’assenza del corpo era totale.

Il corpo era uno strumento da usare, da portare al limite della capacità, il dolore era qualcosa da sconfiggere e al quale resistere, per superare i nostri limiti.

La mente doveva essere in grado di superare ogni cosa, inoltre l’autocontrollo e non mostrare i propri dolori e sofferenze era d’obbligo.

La vita e le mie scelte, guarda caso, mi hanno portato ad occuparmi degli altri, sono diventata infermiera.

Noi giovani allieve tirocinanti, venivamo istruite sulla base di schemi di dovere e sacrificio e l’attenzione al dolore altrui, forse cancellava il dovere all’attenzione a se.

Nel corso degli anni ho imparato e ho sempre saputo vivermi i momenti di divertimento e di trasgressione, ma in ogni caso per struttura mentale e sviluppo psicofisico, sono sempre stata portata a credere che il mio corpo era plasmabile a mio piacimento.

Era uno strumento nelle mie mani e doveva fare ciò che io gli dicevo, e anche le innumerevoli ore dedicate ai miei sport preferiti, molte volte si svolgevano come mera competizione con me stessa.

Ancora oggi, anche se il mio corpo purtroppo mi ha fatto capire, che non è sufficiente alimentarsi in modo sano, fare tanto “sport sano”, e cercare di mantenere l’autocontrollo, cosa per me indispensabile, gli atteggiamenti fanno fatica a cambiare.

Lo yoga sicuramente mi ha aiutata, ma gli schemi sono duri da abbattere.

Come ho risolto il problema dello schema mentale della Posizione della Pinza (Paschimottanasana)

pinza classica Pinza classica

Mi sono ritrovata molto spesso, a mettere la competizione negli asana.

Ora molto meno; ma quando ho iniziato, mettevo la mia volontà nel far fare al mio corpo qualsiasi cosa, la sfida era sempre aperta.

La Posizione della Pinza era quella posizione bellissima, ma che mi portava a soffrire.

Nel corso degli anni di pratica e consapevolezza, ho capito che non era importante scendere sino alle ginocchia con la fronte, afferrarsi i piedi, avere la schiena piatta sulle gambe, ma vivere ciò che Paschimottanasana (Posizione della Pinza) mi regalava mentre la raggiungevo, sentire la potenza profonda del respiro e dell’addome.

Si, d’accordo ma credetemi non è vero che in tutto questo il mio schema mentale non mi facesse cadere ancora nella competizione, dovevo comunque scendere.

Intanto le mie povere lombari, bistrattate negli anni si facevano sentire, gridando vendetta, e non vi dico l’ileopsoas destro come mi urlava di smetterla.

Negli anni ho imparato a volermi più bene, ma purtroppo sono arrivata un poco tardi.

Un imput in più

Ora però, ho aggiunto un input, un tocco in più, che mi aiuta insieme al respiro profondo e l’ascolto attento di me, a risolvere sia la conquista della posizione per il gusto di starci e la risoluzione del dolore lombare e all’ileopsoas.

In pratica

Mi pongo in posizione sdraiata prendendo coscienza della totalità del mio corpo, degli appoggi e del respiro, mi aiuto con sospiri e qualche rilascio tensione.

  • Eseguo qualche movimento della Posizione del Ponte (Sethuasana)

Ponte

  • e del coccodrillo (Makrasana), lasciando emergere il movimento dal respiro e dalla leggerezza del corpo, prendendo la forza dall’espiro e dalla contrazione perineale.

Coccodrillo

 

Successivamente…

  • mi porto seduta, aggancio le mani alle caviglie, tenendo i piedi con le piante a contatto, qualche respiro attento con espansioni delle basi, nella posizione dell’Angolo Legato (Bandha Konasana).

Angolo Legato

  • Dalla posizione precedente eseguo qualche movimento nella Barca (Navasana), facendo delle sovracontrazioni in espiro scendendo,

Barca Espir

  • poi resto nella posizione respirando, continuando le sovracontrazioni in espiro.

Da posizione seduta, allungo le gambe e resto respirando nella posizione.

 

Pinza

Non mi interessa dove andrò, cosa farò, sono lì a godermi la sensazione di spazio dentro di me, mi impegno a non pensare che devo scendere a tutti i costi nella Posizione della Pinza.

Lentamente sento la presenza dei miei piedi e delle mani, le braccia che avvolgono le gambe, sento il respiro dell’addome contro le cosce, mi fermo così e me lo vivo.

Mentre resto a respirare nella posizione di abbraccio, sento il naturale allungamento in inspirazione e con l’esperienza, l’espiro mi porta a scendere gradatamente e lì ancora metto una sovracontrazione, intenzionale, voluta, sentita e profonda.

A questo punto, cosa mi importa quanto sono scesa, mi perdono le ginocchia un poco flesse, sorrido benevolmente alle mie braccia che amano avvolgere le mie gambe, sento con piacere l’addome che si espande e si contrae sotto al mio respiro.

Mi risollevo gradualmente e mi accorgo che non ho dolore, mi osservo per qualche tempo, pensando che forse mi voglio un po’ più bene.

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