di Paola Cosolo Marangon
Dalla Bhagavadgita
“Colui che vede che gli atti sono prodotti dalla natura, e altresì che il Sé non è agente, quegli vede (giusto).”
Bhagavadgītā, canto XIII – 29
L’osservazione del respiro
L’interesse per l’osservazione del respiro aumenta via via che si intensificano gli argomenti e la sperimentazione con la pratica.
Contrariamente al mio solito, ho scritto questa relazione dopo quasi un mese dalla quinta lezione, ho avuto bisogno di metabolizzare e praticare prima di mettere su carta alcune riflessioni.
Un primo elemento di riflessione è partito già durante la lezione in classe, quando l’insegnante ha sottolineato che il primo atto respiratorio del neonato è l’espiro.
Mi si sono subito accavallate informazioni antiche, quando da sempre l’insegnante di liceo ci aveva detto che alla nascita si inspira ed è l’espiro che determina la morte.
Così ho sempre creduto e pensato e questa cosa mi è frullata in testa per un po’ fino a che, con la cocciutaggine che mi contraddidistingue (sob!) sono andata a verificare.
Espirazione e contrazione muscolare
Il primo atto alla nascita è una sorta di colpo determinato dalla forte azione muscolare dei muscoli respiratori.
I polmoni sono chiusi, sigillati, il feto ha una circolazione sanguigna veicolata dal flusso indotto dalla madre attraverso il cordone ombelicale.
Non vi è respirazione nel feto, ovviamente, è un pesciolino e all’atto della nascita la prima urgenza è far partire la circolazione autonoma, entrambi i ventricoli cardiaci devono aprirsi per consentire il corretto flusso e di conseguenza il respiro si deve attivare per consentire il flusso respiratorio che aporta ossigeno nel sangue e avanti con il ciclo della vita.
Non è un espiro quindi il primo atto ma un “colpo” cha fa partire il pianto a cui fa seguito il primo vero atto che è l’inspiro, cioè l’introduzione di aria nei neonati polmoni.
Ancora più affascinante, il primo gesto è un bastrika, svuotamento totale per poi consetire all’aria, potente, quasi prepotente di aggiungere vita vera al piccolo bambino.
Affascinante perché è la storia di ognuno, di ogni mammifero.
Sembra incredibile poi il respirare del neonato dopo solo pochi attimi: un respiro calmo, lieve, leggerissimo e delicato, senza sforzo, grazie alla potenza dei muscoli respiratori che sono tonici e rispondono meravigliosamente alle funzioni richieste.
Espiro attivo e passivo
Con la pratica legata a Pranavidya si ha l’occasione di prendere piena consapevolezza della nostra pigrizia respiratoria, di quanto la nostra respirazione sia passiva per una sorta di abitudine a “lasciarci respirare”.
Lontano il tempo in cui, da bambini, anche il nostro espiro era potente perché la nostra muscolatura era tonica e attiva.
Ritrovare il proprio espiro e lavorarci è, una volta ancora, una interessantissima scoperta.
Abbiamo muscoli che possono consentirci di governare la nostra respirazione, abbiamo la possibilità di guidare l’espiro conducendo l’aria in profondità, in maniera sottile e lunga, senza essere affrettati, senza per forza voler “finire subito”. Caratteristica del nostro tempo.
Usare i mantra per aggiungere consapevolezza respiratoria
Come molti praticanti yoga anch’io faccio uso dei mantra, nell’annualità Kundalini ho approfondito gli effetti del bija-mantra ma non mi sono mai soffermata sull’osservazione del respiro.
In questa quinta tappa di Pranavidya, ho esplorato la nuova risorsa e ho constatato quanto, in effetti, il mantra aiuta ad allungare l’espiro, ma non solo quello (of course).
Dopo cicli respiratori con la recita dei mantra non solo il respiro diventa più “vivo”, la sensazione è quella di una sorta di “vivificazione” di tutto il corpo e una sorta di “pulizia” del cervello, come se, grazie ad un espiro più lungo ma anche più tonico, avvenga una sorta dei purificazione della materia grigia.
Una considerazione interessante che mi deriva dalla pratica: ho seguito vari corsi di Pranayama con un monaco tibetano, ora colgo la differenza con Pranavidya!.
Ed è tutto dentro di noi, in noi. Non è meraviglioso?